Quale scuola nel dopo covid?
Scritto da redazione il 7 Giugno 2021
A scuola, insegnando storia, si parla spesso di periodizzazioni, nel cercare di collocare nel tempo, le cause spesso remote di un accadimento, di un fatto che si impone, a volte violento ed ineluttabile, alla coscienza collettiva. Suscita interesse l’avvenimento dirompente: una guerra, un attentato, uno sbarco, un’alleanza, una pace. Eventi allineati lungo un’ipotetica linea del tempo: date rigide e scandite, spesso non gradite dagli studenti, quando vuote di significato, acquisite di necessità, senza motivazione e convincimento. Un prima ed un dopo rispetto ad un anno zero. Poi, di colpo, molti di quei ragazzi sonnacchiosi e distratti, pronti a scambiarsi un bigliettino, a dissetarsi da una stessa bottiglia, abbracciati da una stessa maglietta, madida di sudore, hanno scoperto la compostezza ossequiente dettata dalla necessità, il volto celato ed il sorriso nascosto per causa di forza maggiore. Cosa resterà di tutto ciò? Sembra quasi, interrogandosi, di parafrasare una vecchia canzone.
Ma questa volta il dopo covid (d.c.), probabilmente scritto con solo due, isolate ed attese lettere minuscole, sarà impresso a fuoco, atteso, metabolizzato, immaginato in tante maniere diverse, come l’alba di un cambiamento dal quale la scuola (e sarebbe bello dire la società) esca rinnovata, da cui i docenti abbiano imparato ad apprendere dall’ultimo in fondo alla classe, da quello taciturno e riservato che, però, sa tutto di informatica: i tasti da schiacciare, la connessione da ristabilire ed il dialogo nuovo da aprire tra due generazioni. Ansie e paure, incertezze ed attese di un tampone negativo hanno tenuto con il fiato sospeso, una quarantena evitata ed un rischio schivato sul crinale di un anno vissuto tutto d’un fiato. I libri, a volte, sono finiti da parte: c’era bisogno di parlare di sé, di raccontarsi, di essere ascoltati: “è morto il nonno, prof., non so più con chi confidarmi…; mio fratello è positivo, rimarrò a casa e a distanza; …non ho capito più nulla, ho perso il filo, ma ho scritto una poesia. Potrei inviargliela?”. Sono solo alcune delle tante frasi di questa scuola nuova e diversa, in cui si è intessuta la trama di una profonda verità, di ricerca di punti di riferimento, di colloqui nei corridoi, di risposte attese e di volti celati dietro uno schermo non funzionante.
Il d.c. (dopo covid) è la pagina di storia più intensa da scrivere, quella da assaporare dicendo “io c’ero”, da raccontare a chi verrà dopo, a chi non l’avrà vissuta. È il bisogno di continuità, la lezione più grande che i ragazzi stanno imparando, scoprendo il senso di una fragilità che ci accomuna ed avvicina, nonostante la distanza fisica. Al tempo stesso non è, al momento, pensabile che questo dopo possa essere scevro da paure, al contrario è appropriandosi di questo sentimento che è diventato parte integrante del nostro essere, che si può tessere la trama di nuove relazioni, talvolta cancellando le vecchie o corroborando le più sane ed autentiche.
I banchi, nuovamente vissuti ed abitati, parlano una lingua antica, quella della forza prorompente della giovinezza che non sfida il rischio per sfrontatezza; che non ignora il pericolo per supposta saccenteria, ma conserva intatto il bisogno e rinnovata la capacità di superare l’ostacolo, di andare oltre, di scorgere, pure in tempi che paiono oscuri, i segni della rinascita. Ciascuno immagina il proprio nuovo, stila il decalogo delle esperienze che vorrà fare, di persone da conoscere, di amicizie da stringere, di occasioni da recuperare. Sono i giovani che, per dirla con parole care al poeta Gibran, “si slanciano come frecce vive” e con energia impetuosa verso il futuro.
Maura Melissano