Appunti sulla riforma degli Istituti Professionali

Scritto da il 26 Marzo 2021

Tra le deleghe della Legge 107/2015, la Riforma degli Istituti professionali costituisce davvero un risultato di successo e da quali punti di vista? Indubbiamente è un esito tangibile che, nel vortice dei cambiamenti politici degli ultimi anni, la Riforma abbia resistito.

Forse ciò è dovuto al fatto che non coinvolge i licei, la parte “nobile” dell’Ordinamento scolastico nazionale a cui la maggior parte delle famiglie aspira di mandare i figli. O forse si tratta del settore più debole dell’Ordinamento, già di per sé in crisi, votato dalla riforma Moratti del 2003 a finire regionalizzato- ammesso che le regioni si sentano in grado di gestirlo assieme ai soggetti privati a cui già affidano la formazione regionale (IeFP). Sta di fatto che la Riforma è entrata nel quarto anno di applicazione, senza che qualcuno sia intervenuto a stravolgerla. Un elemento significativo è che l’impianto della Riforma sia stato effettuato consultando e ascoltando le Scuole e che “l’accompagnamento alla riforma” sia stato affidato a Reti di Istituzioni scolastiche.

Ma quali sono le innovazioni introdotte e quali le matrici culturali? Il punto di partenza resta, come già accennato, la struttura ordinamentale disegnata dal D.Lgs. 226/2005 che spinge il sistema dell’istruzione professionale verso la regionalizzazione. Nella riforma tale direzione si esplicita nel dare forte rilievo ai passaggi degli allievi tra IeFP (regionale) e IP (statale) e viceversa, mentre si marcano le distanze tra istruzione liceale e tecnica, da un lato, e istruzione professionale dall’altro. Distanza che costituisce un marchio sociale regressivo. Diversa è la valutazione delle innovazioni che attengono all’organizzazione e alla pratica didattica.

In questo ambito le novità si incardinano attorno al concetto di “personalizzazione”, vale a dire della centralità dell’allievo a cui si connettono strumenti precisi, quali il Piano Formativo Individualizzato e la didattica per competenze, formalizzata nelle Unità di apprendimento. In teoria tutto il sistema scolastico nazionale dovrebbe agire sulla base di questi due principi. In realtà nel sistema dei licei e dei tecnici manca l’obbligo all’uso di strumenti definiti per attivare queste prospettive. Per comprendere cosa ciò significhi è sufficiente usare questa “cartina di tornasole”: Se il docente a cui si chiede come stia facendo il proprio figlio risponde dicendo che la classe o l’alunno sono indietro col programma, è chiaro che al centro non pone l’allievo/i che apprende/ono, ma il contenuto della materia d’insegnamento.

Quel docente opera un capovolgimento dell’ordine dei fattori, scambiando uno strumento (materia di insegnamento) con il fine (la crescita personale e culturale dell’allievo). Si faccia attenzione, perché da millenni la scuola ha agito nel senso indicato dal docente, imperniandosi sui contenuti da trasmettere, più che sulle esigenze di apprendimento dell’allievo. Ciò è accaduto per la necessità sociale di trasmettere il patrimonio culturale ​ faticosamente conquistato. Il singolo era un semplice strumento, tanto che i ragazzi potevano essere sottoposti a violenze fisiche e psichiche pur che assorbissero i contenuti stabiliti.

Buona parte degli opinionisti continua a rimpiangere quel modello di scuola, escluse le violenze scolastiche, uscite ormai dall’orizzonte culturale contemporaneo. Al contrario il Legislatore italiano sta cercando di modificare e, quindi capovolgere, questo impianto tradizionale dagli anni ’70 del secolo scorso. E il pensiero pedagogico progressista vi è impegnato da secoli. In sostanza si tratta di affermare la strumentalità dei contenuti e delle discipline (metodi, concetti, organizzazione dei saperi) rispetto allo sviluppo della personalità dell’ allievo nella sua unicità.

Da questo punto di vista l’attuazione della Riforma dei professionali rappresenta un passo nella direzione progressiva che dà forma ai più illuminati atti normativi dell’ultimo mezzo secolo e che non può essere evitata neppure dai più retrivi (vedi riordino Gelmini, alias taglio della spesa per l’istruzione). Certamente è necessario affrontare più in profondità gli aspetti di innovazione della Riforma e capire le reali ricadute sul sistema dell’istruzione professionale, senza omettere le tensioni nella organizzazione e nella gestione della scuola. Altresì è indispensabile comprendere la sostenibilità dei cambiamenti nella vita professionale dei docenti e dei dirigenti scolastici, nelle prospettive degli allievi e delle famiglie e nella rispondenza ai bisogni sociali e produttivi del Paese. Il bilancio del successo della Riforma deve affrontare, quindi, altre prove.

di Francesco Bussi

Foto di tomtomalone da Pixabay 

faticosamente conquistato. Il singolo era un semplice strumento, tanto che i ragazzi potevano essere sottoposti a violenze fisiche e psichiche pur che assorbissero i contenuti stabiliti. Buona parte degli opinionisti continua a rimpiangere quel modello di scuola, escluse le violenze scolastiche, uscite ormai dall’orizzonte culturale contemporaneo. Al contrario il Legislatore italiano sta cercando di modificare e, quindi capovolgere, questo impianto tradizionale dagli anni ’70 del secolo scorso. E il pensiero pedagogico progressista vi è impegnato da secoli. In sostanza si tratta di affermare la strumentalità dei contenuti e delle discipline (metodi, concetti, organizzazione dei saperi) rispetto allo sviluppo della personalità dell’ allievo nella sua unicità. Da questo punto di vista l’attuazione della Riforma dei professionali rappresenta un passo nella direzione progressiva che dà forma ai più illuminati atti normativi dell’ultimo mezzo secolo e che non può essere evitata neppure dai più retrivi (vedi riordino Gelmini, alias taglio della spesa per l’istruzione). Certamente è necessario affrontare più in profondità gli aspetti di innovazione della Riforma e capire le reali ricadute sul sistema dell’istruzione professionale, senza omettere le tensioni nella organizzazione e nella gestione della scuola. Altresì è indispensabile comprendere la sostenibilità dei cambiamenti nella vita professionale dei docenti e dei dirigenti scolastici, nelle prospettive degli allievi e delle famiglie e nella rispondenza ai bisogni sociali e produttivi del Paese. Il bilancio del successo della Riforma deve affrontare, quindi, altre prove.


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