ZONA ROSSA

Scritto da il 8 Novembre 2020

Zona rossa. Due parole che, da sole, descrivono sensazioni, emozioni, paure. Ieri mattina stavo andando verso scuola, in pieno centro a Milano. Mi guardavo intorno, in una via Torino piena di bar, e vedevo solo sparuti gruppi di persone con in mano un caffè nel bicchierino di plastica.

Non c’erano ragazzi in giro, che si attardavano prima di entrare a scuola. Solo alcuni davanti alla scuola media. Quelli di prima, che devono/possono ancora frequentare.

Arrivo davanti a scuola e lì, eccolo, l’assembramento: genitori e bambini in attesa della campanella. Scuola primaria e dell’infanzia nello stesso palazzo.

Tante domande affollano la mia testa e mi chiedo che senso abbia, in questo momento, continuare ad andare a scuola.

Credo fortemente nel valore pedagogico della scuola in presenza e sono certo che i bambini, in relazione, imparino meglio e di più, guardando in faccia l’insegnante, chiedendo ed ottenendo rassicurazioni, portando il quaderno alla cattedra anche solo per sentirsi dire: “Come sei stato bravo!”.

Io a settembre ero fra i sostenitori della scuola in presenza. Senza se e senza ma. Ora mi interrogo. Mi chiedo se il gioco valga la candela. Se valga davvero la pena rischiare in questa situazione.

Io sto continuando ad andare a scuola, per garantire ai bambini uno spazio di normalità, una possibilità di vivere la quotidianità in un ambiente protetto. La didattica a distanza ha già mostrato i suoi punti di forza e le sue fragilità, l’ho sperimentata lo scorso anno, mettendomi in gioco e cercando di fare del mio meglio per offrire un minimo percorso ai miei alunni. Continuo ad usare le tecnologie in classe, come, del resto, facevo anche negli anni precedenti, ma so che la mia azione didattica non si esaurisce lì. Libri, quaderni, matite, sguardi di approvazione e qualche sgridata, una chiacchiera sottovoce e qualche foglietto che viaggia fra i banchi: la scuola è anche questo. E già so che mi mancherà tanto, se decidessero di chiudere.

D’altro canto, però, mi  chiedo se davvero non sia meglio mettere al primo posto la salute e lasciare a casa bambini e insegnanti, che possono, per il momento, continuare ad interagire online. La colpa non sarebbe della scuola, che si è organizzata come ha potuto per tutelare i ragazzi e i dipendenti, ma di una società che non ha saputo garantire la sicurezza dei propri cittadini, soprattutto di quelli appartenenti alle fasce più deboli.

Io non ho ancora trovato una risposta, la sto cercando, ma nel frattempo continuo a lavorare per donare ai miei alunni un po’ di serenità in un momento di incertezza e per fornire loro gli strumenti della conoscenza che gli permetteranno, un domani, di capire e interpretare la realtà che vivono.

Foto di Susanne Jutzeler, suju-foto da Pixabay 


Opinione dei lettori

Commenta

La tua email non sarà pubblica. I campi richiesti sono contrassegnati con *



La Esse Radio

La Esse Radio

Traccia corrente

Titolo

Artista