DALL’INTEGRAZIONE ALL’INCLUSIONE: UN EXCURSUS NORMATIVO E PRAGMATICO

Scritto da il 19 Ottobre 2020

  La Costituzione della Repubblica italiana, già nel 1947 all’art. 3, così affermava: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

  Questa affermazione disegna, di fatto, un’eguaglianza solo formale, accompagnata da un’eguaglianza sostanziale, che prevede il diritto ad una dignità della “persona”, la quale deve essere messa in grado di esplicare pienamente le proprie attitudini personali.

  Nel secondo comma il Costituente pone l’accento sul fatto che non basta l’enunciazione di principio, ma occorre garantire a tutti le medesime opportunità: “…rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona”.

  Per lungo tempo, però, questo ha significato soltanto la realizzazione di  percorsi scolastici separati, scuole speciali e classi differenzial, che sanciscono il periodo storico della “segregazione”.

  Negli anni ’70, caratterizzati dalla contestazione post sessantottina, si mette sotto accusa la scelta di corsi separati e anche la scuola muove i primi passi verso un’apertura progressiva all’accoglienza.

  Nel 1975 il documento della commissione presieduto dalla senatrice Falcucci enuncia i principi basilari di quella che ora chiamiamo scuola inclusiva: la collegialità, il protagonismo della famiglia, la gestione integrata dei servizi, la formazione degli insegnanti.

  Si afferma che non basta accogliere l’alunno, occorre integrarlo, farlo diventare protagonista.

  La Legge 517 del 4 agosto 1977 rappresenta una pietra miliare nella storia della scuola italiana, in quanto grazie ad essa vengono abolite le scuole speciali e determinata l’integrazione nelle classi comuni degli alunni diversamente abili.

  Tale normativa si è rivolta per prima ad abolire le classi differenziali nella scuola media ed a permettere l’integrazione degli alunni con handicap nelle classi normali, ad introdurre nel consiglio di classe la figura dell’insegnante di sostegno e l’equipe socio- psicopedagogica.

  Alcuni anni più tardi, il 5 Febbraio 1992, è stata promulgata la Legge n. 104, intitolata Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, in cui è stata formulata la definizione di persona portatrice di handicap: “È una persona handicappata colui che presenta una minoranza fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”.

    Questa legge ha fornito, in maniera innovativa, l’elenco dei documenti base per costruire il percorso di integrazione scolastica, sono essi: la Diagnosi Funzionale (DF), il Profilo Dinamico Funzionale (PDF), il Piano Educativo Individualizzato (PEI).

  Nel corso dei decenni successivi, sono state evidenziate, principalmente nei soggetti in età evolutiva e in ambito scolastico, grazie anche alle nuove conoscenze e competenze dei docenti appositamente formati, numerose problematiche relative a disturbi di natura cognitiva e comportamentale, che investono inevitabilmente anche la sfera emotiva e delle relazioni interpersonali.

  È stata così coniata l’espressione “Bisogni Educativi Speciali”, riassunta nell’acronimo BES, che storicamente compare, per la prima volta, in Inghilterra nel Rapporto Warnock del 1978.

  In un secondo momento, con lo Special Educational Needs and Disability Act del 2001( Atto dei Bisogni Educativi Speciali e della Disabilità) viene affermata la necessità di prevenire ogni forma di discriminazione riguardo all’ammissione a scuola degli alunni BES, di promuovere la loro piena partecipazione alla vita scolastica e di coinvolgere nella stessa le famiglie.

  In Italia tale definizione è entrata nel vasto uso lessicale solo dopo l’emanazione della Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012, intitolata “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”, precisata succintamente nel significato con questa descrizione: “L’area dello svantaggio scolastico è molto più ampia di quella riferibile esplicitamente alla presenza di deficit. In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse”.

   La presenza nelle classi di molteplici problematiche ha reso, pertanto, necessario e imprescindibile una differenziazione, anzi un’evoluzione, dal processo di mera integrazione a quello più ampio dell’inclusione, la quale garantisce una piena e totalizzante accettazione della diversità come risorsa da impiegare a vantaggio esclusivo del singolo, come anche dell’intera comunità scolastica, in costante e continuo divenire pedagogico e didattico.                                                      

Carmen Leo

da Lecce

Foto di Max Fischer da Pexels


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