Questione di equilibri: la ridefinizione dello spazio-tempo

Scritto da il 19 Ottobre 2020

All’inizio era l’appuntamento: a scuola, in ufficio, dal medico, al bar, in palestra, al supermercato, dal parrucchiere, dalla nonna, alla festa, in piazza… insomma luoghi, i più disparati. Ai luoghi si è sostituito il monitor: del PC, del telefono, del tabet.

Da marzo 2020 è cambiata la vita di tutti, è un dato di fatto. Le prime settimane sono state pregne di grande disorientamento: vivevamo come in una bolla, sospesi a mezz’aria tra le mura domestiche. Attaccati al televisore, ai dati, alle immagini agghiaccianti che arrivavano dal mondo. Tutti a tentare di ricostruire il volo trans oceanico che questo strano virus, COVID-19, aveva fatto per giungere fin qui. A distanza di due settimane dall’inizio del lockdown, presa coscienza della ineluttabilità dell’evento, abbiamo provato ad assestarci all’interno delle mura domestiche, cercando di conciliare diritti, doveri e piaceri, con rinnovato spirito di sopravvivenza.  Le scuole, va detto, sono state le prime a reagire con spirito propositivo e costruttivo. Non poteva essere altrimenti: il diritto all’istruzione è una priorità… ma come si fa? E allora sono accadute cose straordinarie: la macchina della cultura, dopo aver assestato e oleato gli ingranaggi, ha ripreso a camminare. Chi con la Ferrari, chi con il fuoristrada, chi con l’utilitaria, chi con il tre ruote ma, tutte, hanno ripreso a camminare. Abbiamo fatto i conti con un nuovo acronimo: DAD – Didattica a Distanza. Il digitale, finalmente, ha trovato il suo posto: strumento utile a supporto dell’umanità, intesa proprio nella sua accezione “spirituale”. Bisognava entrare innanzitutto in contatto con i nostri bambini, i nostri ragazzi, gli studenti, invadendo la quotidianità domestica di ciascuno e aprendo squarci che mai si sarebbero potuti varcare.  Quella distanza che ci pareva infinita, si è annullata con un click!

Il paradigma delle relazioni, in taluni casi, si è ribaltato: studenti che, fino a poche settimane prima usavano i loro device per uscire mentalmente dalla classe, in pochi giorni sono stati usati per entrare volontariamente in contatto, anche solo empatico, con gli insegnanti. Protetti dal guscio delle proprie mura domestiche, molti, si sono trasformati da orchi cattivi, in agnellini da proteggere. Come non farne tesoro!!!

E poi c’erano le relazioni extra scolastiche da recuperare: gli hobbies, gli interessi, le amicizie. Ebbene tutto, ma proprio tutto, ha sfruttato la rete, l’etere. E allora abbiamo avuto una bulimia di relazioni da remoto. Una fame di contatti anche con persone che, fino a trenta giorni prima, non ci sognavamo neanche più di sentire. Ci siamo nutriti di chiacchiere e riunioni da remoto. Abbiamo organizzato meeting con il resto del mondo, apprezzando anche la facilità, la sostenibilità,  l’immediatezza e l’economicità della potenza della rete, umana e digitale. Abbiamo trascorso così almeno tre mesi, fino alle caute aperture che decretavano la fine dell’emergenza e l’inizio di una timida ripresa.

A luglio quasi credevamo fosse tutto finito. Il Ministero ci diceva che il rientro a scuola, a settembre, sarebbe stato assicurato da un piano straordinario che avrebbe garantito il diritto allo studio e alla salute a tutti.

Si pianificavano nuovamente incontri in presenza, con le dovute precauzioni ma, si rispolverava il piacere di guardarsi almeno negli occhi.

Ad oggi, 18 ottobre 2020, la pandemia è tornata più aggressiva di prima e, le scuole, dopo aver assaporato il piacere di rompere l’assordante silenzio dei suoi spazi, sono state inevitabilmente chiuse.

Agli incontri a distanza, si sono aggiunti quelli in presenza, senza soluzione di continuità. Siamo diventati tutti bravi a collegarci a questa o quella piattaforma, ad aprire multi collegamenti video, a riempire le agende incastrando gli incontri con i colleghi, con il medico, con gli amici dell’associazione, con il personal trainer, con il corso di formazione in diretta e, chi più ne ha, più ne metta. Risultato? Siamo messi peggio di prima. Iperconnessi , iperimpegnati, ipercarichi. Dunque, a mio avviso, c’è un’altra emergenza, per adulti e bambini: quella della necessaria ricerca di un nuovo assetto organizzativo spazio-tempo. Con l’illusione di avere più tempo a disposizione, perché nuovamente costretti a casa, rischiamo di essere ovunque e con chiunque tranne che presenti a noi stessi.

Bisogna necessariamente ricalibrare gli impegni, le modalità relazionali, inserendo doverose e fondamentali pause, che ci riportino al “qui e adesso”, altrimenti si rischia il black-out cognitivo ed empatico, vero nemico di ogni processo di sana crescita educativa e culturale.

Apprezzata la potenza della rete, tranquillizzatici sul Panta Rei nonostante la pandemia, focalizziamoci sul Carpe Diem!

Confessiamolo tutti: i gruppi whatsapp o telegram di cui facciamo parte, si sono centuplicati. Centinaia di messaggi seri o semi seri, governano il ritmo del nostro operare quotidiano. Il cervello è iper stimolato a passare da un argomento all’altro: dall’ informativa della scuola, alla battuta degli ex compagni di classe, al nuovo meeting da organizzare con l’associazione, fino al prete della parrocchia che, con grande spirito di rinnovamento, organizza il corso della catechesi di tua figlia da remoto, passando per il tuo cellulare.

Ciò vale per noi adulti ma anche per i nostri figli, nonché studenti. Al termine di questa emergenza, ci ritroveremo tutti iperattivi e completamente disconnessi con noi stessi, con la nostra anima e con il nostro corpo che, inevitabilmente, avrà perso ogni vigore, cedendo le forze e l’energia all’unico organo sovra sollecitato del nostro corpo: il cervello.

 Urge il fermo assoluto, importantissimo, rispetto del Diritto alla Disconnessione. Siamo ad ottobre2020, sono trascorsi sette mesi dall’inizio di quella che sarà la storia più raccontata dai nostri figli ai loro nipoti, ne sono certa.

Cerchiamo di restare umani anche da remoto.

Foto di Andrea Piacquadio da Pexels


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