Alla guerra, alla guerra…

Scritto da il 25 Aprile 2022

Stiamo assistendo alla più massiccia preparazione alla guerra in Europa a cui la mia generazione abbia assistito. Gli ultrasessantenni non avevano mai visto un crescendo di minacce verbali e di dispiegamenti militare, in età di ricordi coscienti. Di questi giorni le dichiarazioni del presidente Biden “con l’Ucraina fino alla vittoria!” Ma la NATO non ha alcun impegno di difesa comune con l’Ucraina. Chiaro che si tratta di una violazione del trattato della stessa Alleanza atlantica.

di Francesco Bussi

E la cosa più sconcertante è che nessuna forza politica di qualche rilievo si stia opponendo alla preparazione della aggressione o della risposta armata. Stia cercando di scansare la dicotomia amico-nemico, che esclude i “ma” e i “se”. Anzi le forze politiche che dovrebbero aver incorporato il mondo della sinistra non violenta e per la convivenza e la cooperazione pacifica sono quelle che oggi sono disposte a creare tutte le occasioni per una deflagrazione continentale. Qualcuno vorrebbe addirittura portare le bandiere della NATO alla festa del 25 aprile: il simbolo della guerra fredda, alla festa della Liberazione. È molto probabile che l’opinione pubblica sia fortemente contraria alla guerra, ma non ha rappresentanza. Conta meno della maggioranza che non voleva la Prima Guerra mondiale.

In nome di una compattezza del mondo occidentale che rappresenta il 70/80% del PIL e un miliardo di abitanti, sono oscurate tutte le ragioni per una trattativa non umiliante con un Paese di 140 milioni di abitanti, erede di una potenza autodissoltasi quarant’anni fa. Certamente la Russia è dotata di arsenali enormi, ma a esaurimento, nel senso proprio, che non avrebbe la capacità di rinnovare in tempo di guerra.

Ciò spiega a “fortiori” la volontà statunitense di prolungare la guerra il più possibile a spese degli ucraini e, se del caso, degli Europei. Il parallelismo con l’Iraq che invase il Kuwait trent’anni fa è così banalmente evidente da lasciare stupefatti. Ma la domanda vera è chiedersi a cosa ci servirebbe una guerra? Cosa vogliamo ottenere? La risposta dei nostri governi occidentali è che noi non vogliamo la guerra ma ci prepariamo a difenderci dal “nano economico, superdotato militarmente”, la Russia.

È ben evidente che la discussione così ridotta non ha alcun senso. Ha molto senso, invece, chiederci cosa ci resterebbe dopo una guerra, ovviamente vittoriosa contro la Russia. Ma di che qualità sarà la vittoria? Questo lo sappiamo: macerie della nostra economia, fine dell’Europa come soggetto economico e politico, devastazione della Russia, probabili devastazioni nucleari in Europa.

È questo che vogliamo lasciare ai nostri figli e nipoti? Forse la questione è diversa per gli Stati Uniti d’America, ma davvero vogliamo assecondare la devastazione del nostro Continente per scopi che ci sono estranei? Forse gli USA pensano che comunque la guerra resterebbe confinata in Europa, cosa probabile, e che questo porterebbe al controllo della grande Siberia e a minacciare da tutti i lati la Cina? Non lo so! Ma quale vantaggio ne trarrebbe un’Europa per forza sconfitta, anche se appartenente al campo vittorioso? Non capisco cosa ci impedisca di chiudere la guerra in Ucraina quanto prima possibile. Forse l’intento di esaurire le potenzialità militari russe? Possibile!?

Ma è davvero tollerabile che noi, i vicini prossimi della guerra, supportiamo una prospettiva di questo genere, contraria agli interessi delle persone vere, gli ucraini in fuga che ospitiamo nelle nostre case?

Capiamo gli interessi USA e la rabbia della superpotenza unica che si sta diluendo in un multipolarismo di fatto, ma sostenerla è nel nostro interesse, non è una rinuncia a essere un polo aggregativo di interessi non conflittuali?

Chi, se non noi Europei, ha bisogno di spegnere l’incendio ucraino?

Credo che in questo ambito emerga tutto il peso di un sistema politico nazionale italiano, ma ancora più europeo, che esclude il popolo dalla definizione degli accordi internazionali, dalle scelte sulla pace e la guerra, per affidarlo ad un certo politico e a un apparato burocratico militare che nulla ha a che fare col diretto consenso degli elettori.

La mediazione delle forze politiche risulta così indispensabile, ma oggi non abbiamo nessun partito che si faccia carico di sostenere la mediazione diplomatica e l’interesse nazionale ed europeo alla convivenza: un Mondo cioè in cui poter giocare un ruolo conciliatore di interessi diversi.

Sono convinto che questo possa e debba diventare il collante aggregativo di nuovi soggetti politici, ma nulla del genere si vede all’orizzonte.

In un certo modo mi sento e sono un uomo del secolo scorso, dell’epoca in cui la nausea di due Guerre Mondiali aveva lasciato la priorità assoluta della pace, magari armata, ma pace.


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