RIQUALIFICARE LA SCUOLA PRIMARIA
Scritto da redazione il 8 Novembre 2021
Chi mai vorrà porre rimedio ai guasti didattici e ai danni psicologici, incalcolabili, causati dalla secondarizzazione della scuola primaria? Parcellizzazione del sapere; frammentazione del curricolo; moltiplicazione delle discipline e proliferazione dei rispettivi docenti con l’inevitabile conseguenza di un aumento, esponenziale, dei compiti a casa.
di Donatella Manfrini
L’impegno dei docenti (pochi? Molti?) che avvertono l’assurdità di questa devastante impostazione, tanto più meritorio, non basta a ricomporre l’unità di un “sistema” strutturalmente polverizzato.
Il superamento dell’insegnante unico, della coppia dei docenti contitolari nelle scuole a tempo pieno, dei tre/quattro insegnanti di “modulo” è degenerato nella ridda di “figure” che, in numero spropositato, ruotano attorno a ciascuna classe, fin dal primo anno di scolarità: una girandola da capogiro cui bambini, anche molto piccoli, devono adattarsi (quelli che riescono), rincorrendo affannosamente lezioni, interrogazioni, verifiche – con tanti saluti all’unitarietà dell’insegnamento, all’approccio olistico alla conoscenza.
Questa disintegrazione del curricolo non ha alcuna legittimità psico-pedagogica, serve solo agli insegnanti promossi, tutti, “disciplinaristi” (alla stregua dei “professori”), peraltro ha determinato il trasferimento alla scuola “elementare” dei difetti peggiori della scuola “media”.
Docenti che, quasi sempre, operano nella reciproca ignoranza anche per quanto riguarda il carico di lavoro domestico e la quota del curricolo appaltata allo studio personale, alla famiglia: ciascuno assegna i propri compiti come fossero i soli da svolgere costringendo anche gli studenti della scuola primaria a un impegno estenuante per interi pomeriggi, sino a sera inoltrata, nei week end e durante le vacanze.
Un accanimento morboso che rasenta la crudeltà mentale nel caso delle scuole a tempo pieno, ove, dopo 8 ore di “lavoro” (che, evidentemente, ai nostri docenti “sembran poche”), a bambini di 6-11 anni, sono assegnati compiti tutti i giorni, nel week end e durante le vacanze.
Si configura, in tal modo, non solo la patente e riprovevole ignoranza di elementari principi di igiene mentale e fisica (sintomo di una spaventosa mancanza di umana sensibilità), ma anche un abuso gravissimo, determinato dalla violazione dell’art. 31 della “Convenzione” dei minori con il quale «Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale e artistica».
Va poi detto che a questo impegno, estenuante, corrispondono risultati assai deprimenti.
Il nostro Paese è in fondo alla graduatoria nelle competenze alfabetiche (competenze, riferisce un Rapporto OCSE del 2014, «fondamentali per la crescita individuale, la partecipazione economica e l’inclusione sociale»). In una scala che va da zero a 500, il punteggio medio degli adulti italiani è pari a 250, contro una media OCSE di 273. Numeri ancora più bassi se si considerano i Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, a cui è attribuito un punteggio medio di 242.
Un quindicenne su quattro è pressoché analfabeta in matematica, non è in grado di risolvere problemi elementari, al massimo sa compiere operazioni semplici.
Secondo il rapporto dell’OCSE-PISA dal titolo Low performing students, del 2016, l’Italia rimane uno dei sistemi scolastici europei più disastrosi: peggio di noi fanno Grecia e Portogallo. E non è solo la matematica lo scoglio insuperabile per i ragazzi: uno studente su cinque è pressoché analfabeta in senso tecnico, cioè non sa leggere, e uno su 6 è gravemente insufficiente in scienze.
L’indagine Piaac – Ocse del 2019 indica che il 28% della popolazione italiana tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale. Il dato è tra i più alti in Europa, eguagliato dalla Spagna e superato solo da quello della Turchia (47%)
Ma il risultato più allarmante è quello che colloca l’Italia e la Cina al vertice delle diseguaglianze tra studenti di condizione socio-economica svantaggiata e studenti di famiglie colte e abbienti.
Dati più recenti, riportati e commentati dal prof. Paolo Ferri, confermano l’aggravarsi del carattere censitario della scuola italiana, non più ascensore sociale ma moltiplicatore di diseguaglianze.
Con tutto ciò, la scuola italiana, fatte le debite eccezioni, resta indefettibilmente legata alle proprie logiche d’apparato, a paradigmi insensati, a pratiche assurde, come penosamente evidenziato dalla testimonianza di due genitori, tra i tantissimi che hanno condiviso un disagio assai diffuso.
Manteniamo tutto quest’apparato buono solo a produrre danni. Sul registro elettronico, tra le attività c’è la voce “resoconto vacanze” – almeno l’italiano “sallo” – e pronta la minaccia di valutazione negativa non solo se non sono stati eseguiti i compiti, ma anche se non sono stati eseguiti correttamente. Compiti da fare dopo aver studiato – sempre a casa da soli – gli innumerevoli, frammentati saperi. Esercizi degni di linguisti della fama di Sabatini…
Si arriva a pianificare assenze strategiche per cercare di difendersi: gravissimo paradosso, il non andare a scuola perché non è stato possibile fare i compiti a casa.
Ma nonostante lo si faccia presente a insegnanti e dirigenti, tutto continua come e peggio di prima. Marianna Peluzzo
Così la scuola serve solo a se stessa: un apparato faraonico, autoreferenziale che considera i suoi utenti al proprio servizio, e non viceversa, dal quale ci si deve difendere ricorrendo, per ragioni di igiene mentale e fisica, a sotterfugi ed espedienti. Una condizione assurda, kafkiana che costringe i genitori a prodigarsi nel tentativo di “limitare il danno”, senza supporto alcuno oltre quello fornito da “private” risorse, per chi se le possa permetterle (ulteriore discriminazione), abbandonati, soli.
Dopo 5 anni di lotte inutili, di riunioni con specialisti che, con tatto e competenza, hanno fatto presente la dannosità di certe “pratiche”, di bocconi amari ingoiati, di silenzio per non incorrere in ritorsioni, l’unica risposta alla sua domanda, caro prof. Parodi, è: noi genitori!
Alla fine siamo soli. E da soli dobbiamo cercare di salvaguardare i nostri figli cercando di capire quali siano le competenze da acquisire realmente importanti e fregarsene di tutto il resto, voti compresi.
Glielo dico da mamma che credeva nella scuola e nel rigore nello studio.
Mia figlia, una bambina serena e allegra, è arrivata alla fine dell’anno con una pagella meravigliosa pagata a caro prezzo: incubi notturni, senso di vomito, crisi di pianto.
A distanza di 3 mesi, non esagero nel dire che la maggior parte delle nozioni fatte ingurgitare come a un tacchino da ingrasso sono state completamente dimenticate e io non ho più intenzione di assecondare questa follia consumata sulla pelle dei bambini.