E qualcuno la chiama estate

Scritto da il 16 Maggio 2021

Nel paese del sol leone, l’estate significa, per tutti, una sola cosa: vacanza. L’inizio della stagione estiva non è il giorno del suo solstizio, ma la fine della scuola, le aule finalmente si svuotano e i lidi si popolano. Non ha fatto eccezione neanche l’anno scorso, in piena pandemia la vacanza è stata garantita, anzi persino incentivata.

La scuola però, che nello stereotipo generale chiude a giugno e riapre a settembre, è dall’anno scorso che di vacanza non ne vede proprio, né al luglio e né ad agosto. L’estate scorsa è stata travolta e stravolta da una mole di adempimenti finalizzati a rendere la scuola sicura e che impensierivano parecchio per la natura delle richieste, molte dei quali lontane anni luce dalla realtà degli ambienti scolastici. Nel rumore assordante delle urla dei mass media che blateravano su tutto, i dirigenti scolastici e i loro staff hanno silenziosamente lavorato a quella che decisamente sembrava una “mission impossible”: rendere la scuola un posto a prova di pandemia, un luogo al riparo dal virus, un virus letale e sconosciuto, non ancora domato, ma che a scuola avrebbe dovuto essere neutralizzato! Un progetto piuttosto folle, così mi appariva l’estate scorsa quando atterrita leggevo i protocolli e mi chiedevo: ma come ci riusciremo mai!

Eppure…. eppure abbiamo misurato, imparato a fare layout, calcolato metri statici e dinamici, ingombri e movimenti, come se avessimo navicelle spaziali piuttosto che aule; sono arrivati banchi, collaboratori scolastici e docenti, gel disinfettanti e mascherine a ritmo continuo, fondi notevoli per acquistare prodotti sanificanti e device. Abbiamo trasformato le aule in bolle asettiche, moltiplicato i varchi di entrata ed uscita, incanalato la normale esuberanza giovanile in percorsi obbligati e posti blindati. Abbiamo istruito il personale a muoversi come in una sala operatoria, a sanificare ogni giorno ogni superficie, impegnato docenti e segreteria a tracciare ogni assenza, ogni movimento, per garantire un continuo controllo sulla salute e rendere minimale il rischio di un contagio. Tutto questo a scuola, una struttura da decenni organizzata molto diversamente e che sicuramente non ha tra i suoi compiti la gestione di una pandemia. Lo abbiamo fatto senza tirarci indietro, senza chiedere indennizzi o scudi penali, lo abbiamo fatto mentre tutti gli altri luoghi chiudevano o non garantivano neanche lontanamente gli standard di sicurezza richiesti. E ci siamo anche riusciti! Tutto ciò che ad agosto sembrava follia è stato realizzato e il protocollo si è mostrato vincente. Dei 50 casi positivi finora registrati, tra alunni e personale, nessuno ha comportato contagi interni, tutti i tamponi di controllo hanno avuto esito negativo, dall’infanzia alla secondaria di primo grado. I primi risultati sono stati attesi con grande ansia, erano il momento della verità, eravamo scesi in campo e ci eravamo scontrati col nemico, ma non c’era certezza che avremmo vinto. E invece le fatiche sono state pienamente ricompensate: i nostri ragazzi, persino i piccoli dell’infanzia, non sono mai risultati positivi ai tamponi di fine quarantena, attivata in seguito ad un compagno ammalato.

Tranne i periodi di quarantena di singole classi e 5 settimane di chiusura per ordinanza comunale, siamo sempre stati in presenza. Vedere gli alunni a scuola è stato un faro, una speranza o meglio la certezza che il covid non ci aveva rubato tutto. Ma questa preziosa vittoria ha richiesto un costo elevatissimo, una quantità di energia psicofisica notevole per non mollare, per esserci nonostante le paure, per tenere saldo il timone nonostante le ansie e le pressioni delle famiglie che chiedevano tutto e il contrario di tutto, che non rispettavano le misure di sicurezza, ma poi mandavano al patibolo la scuola alla notizia di un caso, sempre, anche dopo le numerose quarantene terminate ogni volta con zero positivi. Incontabili le telefonate e le mail per rassicurare e calmare, affinché i genitori mandassero i figli a scuola. E tutto questo nel deserto più totale, in cui ogni altra istituzione faticava a volersi assumere la responsabilità di tutelare la salute del singolo e della comunità.

E così arriva finalmente maggio e le pochissime energie rimaste non bastano per affrontare giugno e gli esami finali e luglio con le sue chiusure e i lavori preparatori per il nuovo inizio.  E qualcuno parla di estate! E da chi ci coordina ministerialmente arriva l’invito a recuperare, recuperare! Cosa? Ad ogni costo ed in ogni modo si è fatta scuola, mentre tutto era fermo o incapace di adeguarsi a standard di sicurezza all’altezza di una pandemia, noi siamo stati aperti, vigili e funzionanti, garantendo l’erogazione di un servizio in piena sicurezza, come mostrano i dati relativi all’incidenza dei contagi a scuola sia nazionali sia regionali.

Cosa dovremmo recuperare se non le nostre energie e la nostra salute? Quali apprendimenti dovrebbero recuperare gli alunni, che con grande senso civico, nel vuoto di ogni altra forma di socialità, si sono impegnati in percorsi di apprendimento sia fisicamente che virtualmente? È la vita vera che abbiamo perso. Gli abbracci, la vicinanza fisica, la leggerezza di un’attività ludica, il lusso di un passatempo in compagnia. È di sport, di musica, di arte, di risate, di tempo in compagnia che abbiamo tutti un disperato bisogno. E invece arriva il piano estate con il suo recupero degli apprendimenti, con le sue azioni la cui organizzazione è demandata al personale scolastico, per altro tramite le farraginosità procedurali dei Pon. Non ai comuni, da sempre i gestori dei tempi d’estate, ma a noi, ancora una volta, sempre e solo noi! Io e la mia comunità scolastica diciamo no! Abbiamo fatto costantemente e con elevato impegno il nostro dovere e anche di più, ora termineremo l’anno e proveremo a goderci un po’ di normalità, senza dover attivare quarantene, senza dover sanificare d’urgenza, senza dover monitorare tamponi e certificati medici, senza attivare dad o did da un’ora ad un’altra, come se passare dall’aula reale a quella virtuale fosse solo questione di un click e non richiedesse invece la predisposizione di attività e setting adeguati che non si possono certo improvvisare.

Dispiace che nulla di tutto questo sia compreso, né da chi predispone le linee politiche, né da chi ci coordina, amareggia e demotiva vedere come sia dato tutto per scontato, come si continui a pretendere prestazioni di servizio h24; indispone sentire che, dopo un’estate senza ferie, a causa dei continui monitoraggi mandati spesso oggi con scadenza domani, persino il 14 agosto con scadenza il 17, si chieda ancora un impegno continuo, anche quest’altra estate! Come dirigente scolastico sento tutto l’onore e l’onere della responsabilità di guidare la mia comunità, ritengo questo lavoro un servizio fondamentale perché finalizzato a garantire le migliori condizioni affinché i docenti lavorino bene e gli alunni imparino serenamente. Ma sebbene il fine sia altamente nobile: la formazione delle giovani generazioni, resta pur sempre un lavoro, con i suoi diritti, tra cui le ferie. Per cui questa estate il mio piano sarà recuperare le energie fisiche e mentali per poter affrontare un nuovo anno scolastico con entusiasmo e vigore. Nella speranza di attraversare acque più tranquille di quelle che il 2021 ci ha finora regalato, le risorse destinate al piano estate saranno utilizzate da settembre in poi per ampliare le occasioni di apprendimento e regalare esperienze didattiche inclusive e innovative ai miei ragazzi che mi auguro abbiano modo di vivere un’estate spensierata, all’insegna del recupero delle occasioni sociali che il covid ha finora loro negato. 

Maria Rosa Caldarella

Ds Ic Cruillas Palermo

Foto di Free-Photos da Pixabay 


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