IL PEER TUTORING E LA DIDATTICA LABORATORIALE NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA
Scritto da Tiziana Di Giulio il 1 Maggio 2021
Da sempre, anche nella vita di tutti i giorni, siamo abituati ad avvalerci inconsapevolmente di metodologie didattiche: per risolvere i problemi (problem solving), per un lavoro di gruppo (cooperative learning) o semplicemente per aiutare qualcuno a realizzare qualcosa (peer tutoring). Nella scuola è di fondamentale importanza utilizzare queste metodologie per favorire l’apprendimento e l’inclusione, per sviluppare le abilità sociali e rafforzare l’autostima.
I bambini della Scuola dell’Infanzia sono molto propensi a collaborare, ad aiutare e a ricoprire ruoli di responsabilità, soprattutto nei confronti di compagni più piccoli e fragili. Con il peer tutoring o aiuto tra pari, un bambino più grande e più competente (tutor) aiuta un compagno in difficoltà (tutee) a portare a termine un’attività, facilitandone l’apprendimento di conoscenze e lo sviluppo di abilità cognitive e sociali.
L’origine del peer tutoring viene fatta risalire all’antica Grecia, durante il periodo di Aristotele, e arriva fino ai giorni nostri grazie all’opera di Maria Montessori; nel tempo questa metodologia si è evoluta e ha coinvolto tutte le sfere dell’apprendimento, dimostrando di essere un valido supporto per l’inclusione dei bambini con disabilità e con difficoltà.
Campo privilegiato per l’utilizzo di questa metodologia è la didattica laboratoriale, che si rifà al principio del « learning by doing » , ossia imparare facendo di John Dewey , filosofo e pedagogista statunitense, considerato l’iniziatore dell’attivismo pedagogico, una corrente di pensiero che parte dalla concezione del bambino come soggetto attivo e protagonista nei processi di apprendimento. La didattica laboratoriale, opportunamente progettata e costruita intorno ai bisogni dei singoli alunni, permette: di non lasciare indietro nessuno nel raggiungimento degli obiettivi e di realizzare la piena partecipazione di tutti i bambini; favorendo un clima positivo nel gruppo sezione, la collaborazione e l’interazione e promuovendo comportamenti non discriminatori nei confronti di chi ha difficoltà. Ecco perché il peer tutoring trova largo impiego nelle attività laboratoriali, divenendo occasione di crescita personale, di confronto e arricchimento reciproco, in un modo così semplice e naturale che è tipico dei bambini.
Talvolta capita che noi docenti non dobbiamo nemmeno invitare i bambini ad aiutare i compagni in difficoltà perché in molti di loro è insita la propensione al supportare, all’incoraggiare e a fare di tutto affinchè l’altro partecipi e sia coinvolto in tutta la vita scolastica. Queste doti di comprensione, accettazione, altruismo sono ben visibili nei nostri alunni e sono i presupposti su cui si basa la nostra opera educativa.
A tal proposito voglio condividere un’esperienza di peer tutoring di cui sono stata testimone, ho osservato in diverse occasioni una bambina di cinque anni aiutare una compagna fragile, quando ci si mette in fila, quando si fanno attività motorie, nei giochi di gruppo e in diversi momenti della giornata, ma ciò che colpisce è che lo fa con così tanta delicatezza e con tanto amore che la compagna la cerca continuamente e si affida volentieri a lei, lasciando sbalordito chiunque le veda.
Il peer tutoring, infatti, favorisce anche l’accettazione e la valorizzazione delle differenze, la condivisione e l’aiuto concreto, permettendo ai bambini che ne fanno esperienza oggi, di diventare, un domani, adulti accoglienti e comprensivi.
Questa è la scuola che ha a cuore l’inclusione e che realizza pienamente il famoso motto di Don Milani “I Care”, mi importa, mi preoccupo di te e lo fa avvalendosi delle doti innate dei bambini, terreno fertile, su cui piantare e coltivare strategie e metodologie, che permettano a tutti gli alunni di vivere pienamente la scuola secondo le proprie possibilità.