Clima a scuola

Scritto da il 13 Febbraio 2021

Vorrei che a scuola tornasse a nevicare. La neve è allegra, profonda. E’ memoria. Nasconde il passato per ricordarci che nessuno può toccarlo e che qualcuno ci ha amato per farci innamorare. La neve da niente inventa mondi. Fa dell’acqua diamanti da bere. Porta il silenzio. Custodisce il seme. E’ fatta per i bambini e pensa ai loro sorrisi. Accade come una meraviglia. Il pupazzo, l’igloo, il ghiacciolo al limone. Ma anche la forma perfetta del cristallo che a occhio non si vede. Il bianco che illumina le vetrate e i portoni ancora chiusi che tengono dentro quel po’ di caldo per non tremare. Vorrei che a scuola tornasse la pioggia. Quella che fa l’aria frizzante, che nutre la terra, che imperla anche i fiori più esangui. Vederla cadere fitta nei cortili, rimbalzare sulle tegole dei tetti, sentirla scrosciare nei sonnacchiosi pomeriggi di lavoro, la matita in bocca, gli occhi distratti sul foglio, un sorriso triste, la voglia di tornare al pallone. Le grandi foglie lucide degli olmi lavati. Il custode che sparge segatura. I piccoli rigagnoli e i grandi laghi nei cortili. Il senso e il delicato suono di qualcosa che scorre, che lava, che irrora, che placa solo per poco la nostra sete. Vorrei che a scuola tornassero i tuoni, che si scatenassero i fulmini, il temporale. Che il vento spalancasse le finestre, scardinasse le porte, sconvolgesse il nostro stare e essere quieti, gettasse all’aria le stanche carte che abbiamo accumulato nel tedio di morte giornate, ci facesse impazzire nel tempo del suo passaggio. E vorrei che la tempesta portasse lo spavento e lo stupore del mondo, la sferzata delle folgori che squarciano il cielo, il nero minaccioso di nuvole veloci a cambiare forma, e quella meravigliosa luce che, filtrando nell’aria umida, accende le ombre di grigio e di giallo. Ma a scuola oggi c’è bonaccia. Il vento è caduto. C’è una pioggerellina tetra e uniforme che giorno su giorno, impercettibilmente, ci inzuppa e ammala. Un caldo immobile che porta giorni senza gioia e notti senza riposo. Una cronica febbre da malaria che sfianca e rende deboli. Ferma sulla sua linea d’ombra, la scuola langue in balia di correnti quasi immobili. L’inerzia che la muove attinge ormai dal puro bisogno di sopravvivere. C’è una rabbia diffusa e nascosta, sviata sempre altrove e scambiata per scoramento. La rabbia delle ciurme chine nella stiva a​ battere, battere il remo della scuola . Remo che però, battendo sul mare d’olio, fa girare la nave in tondo. Non c’è viaggio e non c’è porto. Come fare a far tornare la neve che ammalia, la pioggia che nutre, il vento che muove, il temporale che emoziona? Come fare a riprendere il viaggio? In due modi. Imparando da quelle forze della natura che sono l’infanzia e l’adolescenza e tornando a credere che le idee possono davvero muovere e cambiare il mondo.

Giuseppe Giacalone

Foto di stoneyridgefarmky da Pixabay 


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