Scuola classista, società classista
Scritto da Serafina Ignoto il 9 Febbraio 2021
Sono 4 milioni i ragazzi di età compresa tra 11 e 17 anni che vivono nel Belpaese. Essi rappresentano all’incirca la metà dei minori residenti in Italia, pari al 6,67% della popolazione italiana. Una percentuale non trascurabile che è stata oggetto di un rapporto sulle povertà educative condotto dall’Osservatorio Con i bambini e promosso da Openpolis, che lo ha reso noto qualche giorno fa. Il rapporto punta lo sguardo su questa fascia di età non a caso, poiché è proprio durante la preadolescenza e l’adolescenza che maturano le scelte sull’indirizzo di studi da intraprendere. Scelte sempre meno libere, a leggere i dati del rapporto: il background che accompagna i ragazzi risulta infatti ancora molto condizionante circa le future opzioni dei percorsi scolastici e di vita. Il fenomeno del precoce abbandono scolastico è fortemente influenzato da alcuni fattori quali la condizione socio-economica delle famiglie o le risorse materiali e culturali disponibili in quel dato territorio. Ciò produce un pericoloso determinismo destinato a cristallizzare la propria condizione senza possibilità di miglioramento. E infatti, se un ragazzo non ha genitori diplomati, secondo fonti elaborate da Openpolis, non raggiungerà a sua volta il diploma nel 64% dei casi: una percentuale che colloca l’Italia a un poco onorevole secondo posto, appena sotto il podio occupato dalla Turchia, paese in cui la percentuale è al 73% e con una media Ocse che si attesta al 42%. Una condizione che ingabbia le classi sociali più fragili fra le sbarre delle loro povertà, educative e materiali. Il divario è già abbastanza marcato alla fine della terza media dove è possibile osservare una diretta connessione fra qualità dei risultati scolastici e condizioni socio-economiche familiari: più è buono il contesto, più alta è la percentuale di risultati scolastici positivi. Viceversa, laddove le condizioni di vita delle famiglie di origine sono fragili, le valutazioni scolastiche degli studenti precipitano inesorabilmente verso risultati negativi. Ciò accade nel 54% dei casi: un dato così enorme che non può più essere eluso, se non vogliamo innalzare ulteriormente la casistica dei “Neet” nazionali. Casistica che si allarga ulteriormente in base al territorio di appartenenza e che divide, ancora oggi, non solo il nord dal sud del nostro Paese, ma anche le aree urbane da quelle interne, restituendo un quadro disomogeneo circa i livelli delle competenze raggiunte in uscita. Il grado di istruzione è infatti strettamente legato alle possibilità offerte dal luogo in cui si vive e dalle occasioni di sviluppo che esso offre. Openpolis ha stimato che nei test alfabetici le città capoluogo del Nord Italia raggiungono risultati superiori alla media nazionale nell’87% dei casi. Mentre la quota precipita al 25% per i capoluoghi del meridione e al 36% se ci si sposta nei comuni capoluogo dell’Italia centrale. Da ciò si evince una consistente fetta di marginalità urbana e il perdurare di un marcato divario fra Nord e Sud del Paese ancora ben lontano dall’essere colmato. Spacchettando i dati, inoltre, emerge un altro dislivello: quello delle aree interne del Paese. Anche qui, i dati non sono nazionalmente omogenei poiché le variabili dei trasporti e del continuo cambio del corpo docente, con buona pace della “continuità didattica”, sono elementi che condizionano non poco la qualità delle performance sia degli insegnanti che, conseguentemente, dei loro alunni: è d’altra parte abbastanza prevedibile che, se un’insegnante deve impiegare due o più ore per raggiungere la sede di servizio, con cambi di diversi mezzi pubblici di trasporto, e poi ripercorrere all’indietro lo stesso tragitto per far rientro a casa, appena possibile sceglierà una sede più comoda. L’alta mobilità dei docenti è una delle concause che determinano la disomogeneità di competenze anche fra le stesse aree interne del Paese. Nelle rilevazioni invalsi dei test di italiano spiccano due risultati di segno opposto: il Basso Ferrarese supera di 7 punti la media delle aree interne e di ben 4 punti i rilevamenti nazionali complessivi. Di segno opposto, invece, i comuni dell’area del Calatino, in Sicilia, dove si registra un disastroso -14% rispetto alla media siciliana; mentre comparando le aree interne nazionali il dato scende a-16% per precipitare a -20% nel dato nazionale complessivo. Il rapporto denuncia, inoltre, uno stretto legame fra Neet e aree socialmente deprivate nelle grandi città: Quarto Oggiaro, a Milano, registra il doppio di Neet rispetto ai giovani della zona di Corso Buenos Aires. E lo stesso accade a Roma, dove nella zona di Torre Angela la presenza di Neet è il doppio rispetto al quartiere Trieste. Spostandoci ancora in Sicilia e leggendo il rapporto Istat dell’ultimo trimestre del 2020, la situazione appare tragica, tanto da far dire ai sindacati che “ Quasi il 40% della popolazione isolana è fuori dal circuito produttivo”. E infatti, analizzando i dati del periodo si apprende che gli inattivi sono 1.556.000 su 5 milioni di abitanti. I Neet sono 466 mila tra i quali oltre il 35% appartiene alla fascia tra i 15 e i 34 anni. E’ chiaro che in simile quadro il futuro appare un dipinto a tinte fosche e che servirà quel rigore economico necessario a ricostruire il paese a partire proprio dal sistema di istruzione e formazione. Occorrerà riformare le politiche di sostegno economico alle fasce più deboli, senz’altro necessarie in tanti casi, con investimenti più mirati e meno assistenzialistici dal sapore propagandistico a cui ormai le politiche populistiche ci hanno abituato. Serve dirottare più risorse possibile per far rientrare quella larga fetta di popolazione italiana nel sistema produttivo. Mettere mano all’istruzione rappresenta la base del sistema economico statale: senza una vera e propria rivoluzione culturale, in senso ampio, l’Italia dovrà presto mettere in campo misure finanziarie per far fronte a queste enormi sacche di povertà che proprio adesso sono solo in gestazione, ma che di qui a qualche decennio incideranno sulle già fragili economie di tanta popolazione. E’ necessario ed è anche, per la classe politica, un dovere etico, morale e costituzionale “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” come garanzia di libertà e di uguaglianza poiché vogliamo che la società classista, cantata da Paolo Pietrangeli nella sua celebre “Contessa”, sparisca dal nostro orizzonte.