LE INSIDIE DELL’APPRENDIMENTO
Scritto da Luigi Bove il 19 Dicembre 2020
“ Non ci sono errori, ma opportunità per conoscere le cose” cosi si esprimeva il poeta Foscolo e da un’attenta considerazione dei fenomeni tipici dell’apprendimento emerge che la dimensione educativa dell’errore scolastico costituisce un fattore pedagogico da non sottovalutare. L’avvio dell’apprendimento scolastico è una fase particolarmente sensibile perché all’insegnante spetta il compito delicatissimo di scegliere la modalità con cui insegnare. I docenti di solito hanno due vie per cercare di trattare la loro disciplina nel tempo limitato che ad essa è riservato: somministrare tutto in pillole, cercando di “far entrare ogni argomento nella testa degli studenti, oppure individuare argomenti emblematici e nuclei tematici forti che generino nuove conoscenze e guidino i ragazzi a trasformare il sapere in competenza culturale . Qui il docente deve stare attento ad evitare l’errore subdolo di non saper individuare il giusto contenuto, evitando la scarsa significatività dell’apprendimento, valorizzando di contro la capacità di un oggetto culturale di situarsi nello spazio di esperienza e di esistenza degli allievi. Ma qual è il “sapere” che merita di essere insegnato? Quello davvero significativo? Dipende da quel che si vuol fare con le teste dei ragazzi. Edgar Morin, parafrasando la celebre affermazione di Michel de Montaigne “é meglio una testa ben fatta che una testa ben piena,” sosteneva che il nozionismo accumulativo e la separatezza dei saperi a scuola non ha alcuna possibilità di generare pensiero critico nei ragazzi. Pertanto una “testa ben fatta” sarebbe il risultato di un lavoro didattico che marchia come “errore” l’approccio enciclopedico all’insegnamento. Il docente che avesse la pretesa di insegnare lo scibile per intero verrebbe meno al suo mandato di mediatore culturale evitando di assumersi la responsabilità di selezionare il materiale didattico Rinunciando al compito di valutare e garantire la significatività degli argomenti, della loro valenza formativa, del loro potere d’interrogare l’esperienza e l’esistenza dei ragazzi, compirebbe il profondo errore pedagogico e didattico di limitarsi a svolgere un compito meramente trasmissivo. Bisogna riconoscere che sul delicato terreno educativo e didattico il gioco dell’errore resta sempre un gioco biunivoco, in cui la polarità insegnante-allievo entra continuamente in tensione dialettica All’errore dell’uno può subito corrispondere l’errore dell’altro, e l’onesta consapevolezza reciproca di questa biunivocità rende la relazione educativa leale e capace di produrre risultati gratificanti. Così sul versante dei discenti ci sono volte in cui l’errore non evidenzia mancanze o limiti di preparazione quanto piuttosto tratti di insicurezza. Quando uno studente ritiene che imparare a memoria le materie sia la via di apprendimento più rassicurante e proficua, pur in presenza di insegnanti che si mostrano contrari ad uno studio mnemonico, si condanna inconsapevolmente ad una sorta di “bulimia nozionistica”. Per comprendere la radice di questo errore bisogna considerare l’influenza psicologica della valutazione scolastica. Gli effetti che l’ansia da prestazione produce sull’allievo lo spingono a ricercare a tal punto certezze che ossessivamente ripete, con le stesse parole del libro, quanto gli è stato assegnato. Il paradosso di questo comportamento è che, pur nella convinzione di fare la cosa “giusta”, l’allievo commetterà il più grande degli errori: un’inutile “abbuffata” di nozioni che non producono sapere autentico. Perché? Perché un apprendimento è tale se frutto di “digestione cognitiva” ovvero di smontaggio, riconfigurazione e personalizzazione. Allora quanto più l’ansia da prestazione è elevata, tanto più l’insegnante deve essere abile nel creare le migliori condizioni per sdrammatizzare il momento del compito o dell’interrogazione. Egli deve saper scorporare questi momenti da un’idea di valutazione sanzionatoria per attribuire ad essi valenze formative, utili allo studente principalmente per aggiustare il tiro dei propri apprendimenti. Ora, se è giusto che gli alunni siano chiamati a render conto della loro preparazione in termini di risultato, è altrettanto giusto che anche gli insegnanti sappiano valorizzare tutti gli elementi che riguardano il processo di apprendimento rimettendo in carreggiata i loro allievi quando sbagliano nel dare una risposta o nell’attuare una procedura. Va ribadita cioè la necessità di una valutazione formativa, che realmente accompagni i ragazzi nell’esplicitazione dei loro apprendimenti, e offra l’opportunità di far “germogliare” dagli inevitabili errori, risorse cognitive, potenzialità inespresse e competenze. Proprio gli studi sulla competenza infatti fanno notare come l’errore non sia soltanto un inconveniente, quanto piuttosto una tappa necessaria di ogni cammino formativo complesso. Se conoscenze, abilità e atteggiamenti vengono mobilitati a fronte di un problema da risolvere, allora l’errore diventa determinante per l’apprendimento. L’insegnante di fronte ad un alunno che sperimenta e affina le proprie competenze non può che rendersi disponibile a considerare errori e sbagli come componenti essenziali di un procedimento plurimo, in cui devono essere valutati aspetti molteplici della prestazione. L’insegnante che invece è preoccupato prevalentemente di rilevare “ciò che l’alunno sa o non sa” sarà attento a sanzionare , con la matita rossa e blu, ciò che è errato e a premiare ciò che è giusto, secondo la “logica binaria propria dei computers”. Ma l’insegnamento è una professione riflessiva, che necessita di un continuo connubio tra prassi e ricerca per stare al passo con le mutazioni dei ragazzi, dei saperi e dei metodi. Non a caso la dimensione educativa dell’insegnamento consiste proprio nel tenere insieme, nella costruzione del curricolo scolastico, versante dei saperi, versante della metodologie e versante delle relazioni, e questo intreccio indissolubile richiede la necessaria manutenzione periodica. In quest’ ottica risulta particolarmente significativa la cosiddetta “ didattica dell’errore” di Reuven Feuerstein psicopedagogista israeliano che nella seconda metà del secolo scorso metteva l’accento, per la prima volta proprio sul “criterio della fallibilità” come elemento distintivo del processo di apprendimento. Nel suo Programma di Arricchimento Strutturale( PAS), Feuerstein approfondisce, infatti, il concetto di errore come fonte di un pensiero critico consapevole. Grazie al metodo PAS lo studente prende coscienza di poter sbagliare di poter affrontare il giudizio senza temerlo. Nel processo cognitivo l’errore diventa un luogo che esiste, da cui venir fuori arricchito da un esperienza di apparente fallimento, la sottolineatura dell’errore, infatti, è di tipo positivo. L’insegnante è chiamato a supportare l’alunno nella riflessione su ciò che avviene nella sua mente mentre impara. Esiste così una didattica positiva dell’errore che punta a portare l’alunno alla riflessione sul suo processo di apprendimento, quindi ad aiutarlo nei suoi sforzi, nei suoi insuccessi, nelle sue insicurezze cosicché focalizzi, nel corso del processo didattico, l’attenzione sul proprio personale modo di giungere al sapere. Altro aspetto importante è che l’insegnante stesso si sottopone alla metanalisi si mette in discussione sui propri possibili errori e cosi facendo attiva un processo di analisi degli errori degli alunni. Inoltre In definitiva si tratta di attivare un processo che non nega l’esistenza dell’errore, ma ne fa una fonte di apprendimento grazie alla conoscenza del suo significato. Lo trasforma da inutile e dannoso scarto ad ineludibile, prezioso ostacolo da superare per raggiungere il traguardo della consapevolezza culturale. In sintesi la pedagogia dell’errore insegna a sbagliare senza paure. Sembra di sentire qui, l’eco delle parole di Rodari mentre affermava che : “gli errori sono necessari, utili come il pane e spesso anche belli : per esempio la torre di pisa“. La morale è rivoluzionariamente semplice e al tempo stesso audace: non bisogna drammatizzare l’errore, ma utilizzarlo per modificare i comportamenti dell’alunno perché ogni errore può essere un errore creativo. E in questo modo che si sfida la tradizione della matita rossa re blu e si punta sulla pratica del rinforzo affinché l’allievo, gratificato, ritenga nella mente ciò che lo ha fatto sentire adeguato e competente pur fra gli errori. Il docente è chiamato a basare la programmazione sulla centralità del rinforzo pianificandolo. In quest’ottica, allora, la parola d’ordine della didattica sarà considerare l’errore come opportunità di revisione e miglioramento della procedura di apprendimento per impedire che, in ossequio ad una “didattica diseducativa” l’individuo venga trasformato in mero” silos cibernetico” , contenitore asettico di risposte omologate e prevedibili.