Disuguaglianza territoriale
Scritto da Adele D'Angelo il 16 Dicembre 2020
Lo scorso 16 novembre 2019, in occasione di un convegno dal titolo: “Uguaglianza Territoriale, una nuova frontiera?”, organizzato da Meridem e Comunità Solidale, sono stata invitata ad offrire il mio punto di vista sul tema istruzione.
Quella che segue è una sintesi del mio pensiero, esposta durante il convegno che, alla luce di quanto sta accadendo in questi mesi, mi pare quasi una profetica considerazione, pertanto lo ripropongo in questa rubrica.
Si può senza dubbio affermare che la scuola sia una vera cartina tornasole del nostro paese, sia in virtù delle molteplici anime che popolano questo mondo, sia per essere da sempre uno dei terreni di gioco su cui si scommettono le migliori partite politiche. Un incubatore culturale, economico e sociale unico nel suo genere, dove a suon di riforme si è modificato il DNA della nostra società. A partire dalla riforma Gentile, fino alla legge 107/15, la Buona scuola, c’è stato un cambio identitario che ha trasformato l’istruzione da Diritto a Servizio, una modificazione genetica la definisco che ha viaggiato di pari passo al sezionamento del nostro paese in ambiti territoriali troppo diversi tra loro.
Dall’unità d’Italia alla nascita della Repubblica fino all’adozione della Carta Costituzionale sono passati 100 anni, durante i quali non c’è stato un allineamento sociale ed economico da nord a sud, di cui ancora oggi ne paghiamo le conseguenze. Una conferma di quanto detto ce la offre il rapporto della Task Force dell’Anagrafe dell’Edilizia Scolastica (appositamente costituita per supportate gli amministratori per la rilevazione dei fabbisogni), un lavoro di censimento del patrimonio Edilizio Scolastico, istituito con la legge n. 23 del 1996, finalizzato anche ad individuare gli interventi strutturali da portate avanti. Tale relazione delinea un quadro chiaro della situazione: due Italia, le cui cause, a mio avviso, affondano le ragioni già dalla questione meridionale, mai risolta. In Liguria, per esempio si è dovuti intervenire solo con opere di piccola manutenzione straordinaria, in Campania con la costruzione di nuovi edifici e adeguamento sismico. E, a quanto pare, si persevera nell’acuire queste differenze, perché il direttore generale della politica regionale della Commissione Europea, Marc Lemaitre, denuncia le notevoli mancanze del governo centrale italiano che taglia gli investimenti ordinari al Sud, tanto da far retrocedere il mezzogiorno più di ogni altro paese europeo. Accuse gravissime che potrebbero portare ad una revisione dei flussi economici delle politiche europee di coesione. Per garantire l’effettivo impatto economico sulle aree deboli, il principio di addizionalità prevede che i fondi strutturali non sostituiscano la spesa nazionale, ma siano un valore aggiunto altrimenti il divario non si colma mai. In un paese interamente in ritardo di sviluppo, come la Polonia o la Grecia, l’addizionalità è ovvia perché i fondi europei si sommano agli impegni di Varsavia o di Atene per l’intero paese. Ma in Italia – mezza ricca e mezza no – le aree a maggiore sostegno sono Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia e può accadere – anzi accade, come certificano i conti pubblici territoriali – che Roma abbandoni il Sud al suo destino concentrando gli investimenti al Nord, lasciando all’Europa il ruolo di evitare il peggio ( Marco Esposito, IL MATTINO dell’ 8 ottobre 2019). Desta preoccupazione la risposta parziale del Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri che ha dichiarato l’impegno a stanziare nel 2020 «674 milioni per il credito d’imposta al Sud», voce che nulla ha a che fare con gli investimenti pubblici. E’ di conforto altresì sapere che la posizione del Ministro per il Sud Beppe Provenzano, sia molto netta e lucida su questo punto, ricordando che «la clausola per il 34% per investimenti ordinari al Sud è ancora largamente sulla carta e va attuata, perché è quella la base per garantire l’addizionalità delle risorse europee».
Non ha senso dunque parlare di riforme organizzativo didattiche, se non si provvede ad un riallineamento. Contenuti e contenitori devono viaggiare di pari passo.
Non sarebbe il caso di ripensare a ciò piuttosto che stanziare fondi, (come fece l’allora Ministro Giannini, che stanziò 300 milioni) per scuole altamente innovative che rappresentano cattedrali nel deserto? Solo così si puo’ davvero ripensare al mondo dell’istruzione e garantire pari dignità, pari opportunità a tutti, proprio come chiede l’art. 34 della nostra Costituzione, troppo spesso accantonato. E la situazione non cambia nel mondo universitario. Si parla continuamente della famosa fuga dei cervelli, un problema tutto italiano e, anche qui, più forte nel nostro Mezzogiorno. ( il sole 24ore art. del 13 dicembre 2018).
I nostri ragazzi studiano in patria ed esportano i loro saperi all’estero, talvolta con eccellenti riconoscimenti dalle comunità scientifiche dei luoghi in cui emigrano. Riflettiamo dunque su questo punto: le nostre università sfornano ragazzi preparatissimi che hanno, oltretutto, il famoso fattore X (del rettore dell’Università cinese Chen Jining) in dote (fattore che posseggono tutti quelli che oltre ad essere molto preparati, sono dotati anche di spirito creativo e innovativo necessario per avere successo nella società di oggi). L’ha capito la Apple che ha localizzato a Napoli un centro di eccellenza per lo sviluppo dell’azienda.
Dobbiamo pertanto constatare che abbiamo un potenziale enorme! Basterebbe colmare il gap di cui sopra per essere competitivi ed attrattivi, perché abbiamo dimostrato che qui al sud, da FEDERICO II in poi, l’attenzione per il mondo universitario e la cultura, non sono secondi a nessuno e che quando dalle nostre parti arriva chi ci crede davvero, chi colma quel gap ed investe sul nostro know how, sulle nostre competenze, sulla nostra unica capacità di esercitare il pensiero computazionale, siamo capaci di fare molto di più e meglio di qualunque altra regione d’Italia, perché sfido io le grandi regioni del settentrione d’Italia, le grandi e altisonanti università del nord (peraltro ormai nelle ultime fila delle classifiche sulle migliori università europee) a tirare avanti con i numeri che abbiamo qui.
I tagli fatti al sistema universitario dal 2010 giustificati da una strategia che doveva puntare alla qualità piuttosto che alla quantità, hanno ridotto l’università di un quinto; riduzione che la pone come un caso unico rispetto ad altri comparti dell’intervento pubblico. Al taglio delle risorse pubbliche è corrisposto un aumento della tassazione studentesca, mentre la politica per il diritto allo studio (borse di studio, alloggi…) è rimasta molto modesta. Ciò ha messo in difficoltà le famiglie con basso reddito, maggiormente quelle del Mezzogiorno. Si è deciso di disinvestire, per la prima volta nella storia del nostro paese, proprio laddove era necessario fare il contrario, perché il livello di istruzione era più basso.
In conclusione, dunque, il quadro della situazione del mondo dell’Istruzione, conferma e rafforza quanto detto in apertura e cioè che questo mondo è lo specchio di quanto è accaduto e sta accadendo in Italia: un mondo, un paese ingessato dalle mille riforme dallo sguardo corto e opportunistico che ha dimenticato lo spessore e il respiro dei nostri dettami costituzionali e della storia della nostra civiltà, culla della cultura mondiale, relegata oggi ad essere il fanalino di coda di un paese frazionato dai capricci e dalla miopia di alcune politiche.