Il Covid, la ripartenza e le tre richieste degli studenti

Scritto da il 24 Ottobre 2020

Molto si sta dicendo e molto è stato detto riguardo la riapertura delle scuole, eppure pochi hanno messo da parte le proprie convinzioni politiche e morali e si sono interrogati su quale fosse la vera richiesta degli studenti.

In quanto rappresentante di Consulta, quella richiesta l’ho dovuta esporre, più e più volte, non ricevendo sempre risposte confortanti o soddisfacenti. Non mi sento di attribuire colpe: far funzionare una macchina, già con mezzo motore sfasciato, non è affatto una cosa semplice. Ci si è trovati, in questo periodo, a dover mettere in moto un veicolo in evidente difficoltà e, per adeguarsi ai tempi che corrono, sembrava quasi fosse necessario solo riparare le ruote, sostituendole con delle rotelle, quando in realtà l’intero motore era da aggiustare e poi da innovare.

La prima domanda che mi sono posto a giugno, quando la pandemia pareva un lontano ricordo e le convocazioni a tavoli istituzionali fioccavano nella mia casella di posta elettronica, è stata: cosa serve per proteggersi dal Covid? Una domanda complessa ma allo stesso tempo semplice, una domanda le cui risposte sono state sintetizzate da noi rappresentanti in tre parole chiave. E chiare: distanziamento, edifici e trasporti. Dunque, in rappresentanza degli studenti, sono andato a chiedere alle istituzioni “distanziamento, edifici e trasporti”. Tre richieste basilari, tre richieste che potremmo agevolmente paragonare a quelle di “pane, acqua e coperte” che avanzavano i viandanti passando dalle case. Tre richieste che però hanno avuto un riscontro solo in parte. Badate bene, la mia non è l’istruttoria di un processo. Non mi interessa individuare colpe e colpevoli. La mia vuole essere solo un’analisi quanto più oggettiva possibile su quel che è stato fatto per garantire il tanto proclamato “rientro in sicurezza”.

Partiamo dal distanziamento sociale: la direttiva consegnata dal CTS in giugno si esprimeva a riguardo traducendo in metri le parole appena dette; questa formulazione numerica parlò di un metro di distanza fra le rime boccali (che altro non sono che le parti della bocca che si aprono) ma in condizione di staticità e, riguardo i banchi, di distanza variabile dal metro e mezzo ai due metri per garantire un minimo di libertà di movimento. Questa sembrò una soluzione avveduta. Insomma, si poteva restare seduti e si poteva anche togliere la mascherina! Ottima soluzione. Al rientro a scuola, però, ci si è accorti che alcuni fra i Dirigenti Scolastici avevano fatto un mix al ribasso della prima indicazione con la seconda, posizionando i banchi in modo tale da garantire solamente il distanziamento di un metro fra le rime boccali. Risultato: in alcune classi si volta il capo ed è stato già infranto il metro di distanza.

Seconda richiesta: edifici. Nel nostro paese le scuole sono parecchie e racchiudono al loro interno una grande e bellissima storia, quella di un Paese giovane che si unì solo centocinquantanove anni fa, un’Italia che si unì prima rispetto agli italiani, e una Repubblica settantacinquenne che seppe ricostruirsi da sola dopo il regime fascista e dopo la guerra. Una storia bellissima, molto romantica. Peccato che la maggior parte degli edifici scolastici risalgano proprio al periodo del così detto “boom economico”; il dato peggiore, e che deve farci riflettere, è che siano state costruite pochissime scuole in questi ultimi anni e che gli edifici preesistenti non hanno beneficiato di adeguati interventi strutturali. Forse per nostalgia, forse per malizia, forse per i tagli, le scuole non sono state toccate, ma pur di aprirne di nuove ci si è inventati il nefando sistema delle locazioni passive, il quale permette agli enti locali di affittare edifici privati, edifici progettati per tutto, tranne che per essere delle scuole. In particolare nel sud Italia, in regioni come la mia amata Sicilia, le carenze edilizie sono un problema enorme: la muffa sui muri, i calcinacci pericolanti, le infiltrazioni e via discorrendo. Per tre mesi è stato chiesto di intervenire tempestivamente su questo fronte e infatti si è intervenuti, ma non dovunque e non in tempo; elencare qui tutte le criticità dell’edilizia scolastica mi pare​ prolisso ed insensato, però focalizzare l’attenzione su una breve considerazione è sensato eccome.

Quando si è pensato di riprogrammare la scuola col distanziamento, le mascherine e la segnaletica nei corridoi utile, non si è ricordato che il primo investimento da fare era quello sugli edifici.

Un istituto scolastico che disponeva di un edificio a norma, di certo, ha faticato meno a riorganizzarsi rispetto ad uno che dall’inizio del nuovo millennio registra criticità strutturali. Se si fossero programmati lavori edili per gli edifici in difficoltà, invece di incentivare gli enti locali a cercare altri palazzi da affittare e da adattare a scuole, sicuramente oggi noi rappresentanti non saremmo così impegnati a rassicurare gli studenti impauriti, giustamente, dalla recrudescenza del virus. Concludiamo col terzo punto: i trasporti. Fin dal primo momento in cui è stata ripristinata la massima capienza per i bus e i treni, noi rappresentanti abbiamo battagliato come leoni, purtroppo in gabbia: è lampante che non abbia senso distanziare gli studenti a scuola nel momento in cui essi posso legalmente assembrarsi su un mezzo di trasporto con poca ventilazione.

Sembra lampante sì, eppure ancora ad ottobre i presidenti delle regioni discutono, cercando di comprendere se sia opportuno sacrificare la didattica o i proventi di qualche ditta. Ai posteri l’ardua sentenza dunque, e chissà magari un giorno accostare le parole “serenità” e “trasporto pubblico” non varrà più a creare un ossimoro. Alla fine però sarebbe necessario trarre una conclusione, elaborare un giudizio, esplicitare chiaramente se questa ripartenza sia stata positiva o negativa; e chi meglio di me, che ho lavorato quest’estate con i ragazzi, che ho espresso i loro pensieri ai tavoli, chi meglio di me in teoria potrebbe dire se c’è soddisfazione oppure no. A me personalmente non piace giudicare. Certo, poteva essere fatto molto di più, però i mesi sono ancora tanti e il lavoro da fare sarà moltissimo; quindi propendo verso la scelta del lavoro silente e puntiglioso. Poi, un giorno, quando il mio mandato sarà scaduto, spero di poter giudicare nella massima serenità il lavoro svolto da me, da noi e dagli altri, nella speranza di aver rappresentato al meglio i miei studenti e di aver operato nella maniera più utile per tutelare il loro diritto allo studio.

Di Francesco Paolo Tona

Foto di Tim Gouw da Pexels

prolisso ed insensato, però focalizzare l’attenzione su una breve considerazione è sensato eccome. Quando si è pensato di riprogrammare la scuola col distanziamento, le mascherine e la segnaletica nei corridoi utile, non si è ricordato che il primo investimento da fare era quello sugli edifici. Un istituto scolastico che disponeva di un edificio a norma, di certo, ha faticato meno a riorganizzarsi rispetto ad uno che dall’inizio del nuovo millennio registra criticità strutturali. Se si fossero programmati lavori edili per gli edifici in difficoltà, invece di incentivare gli enti locali a cercare altri palazzi da affittare e da adattare a scuole, sicuramente oggi noi rappresentanti non saremmo così impegnati a rassicurare gli studenti impauriti, giustamente, dalla recrudescenza del virus. Concludiamo col terzo punto: i trasporti. Fin dal primo momento in cui è stata ripristinata la massima capienza per i bus e i treni, noi rappresentanti abbiamo battagliato come leoni, purtroppo in gabbia: è lampante che non abbia senso distanziare gli studenti a scuola nel momento in cui essi posso legalmente assembrarsi su un mezzo di trasporto con poca ventilazione. Sembra lampante sì, eppure ancora ad ottobre i presidenti delle regioni discutono, cercando di comprendere se sia opportuno sacrificare la didattica o i proventi di qualche ditta. Ai posteri l’ardua sentenza dunque, e chissà magari un giorno accostare le parole “serenità” e “trasporto pubblico” non varrà più a creare un ossimoro. Alla fine però sarebbe necessario trarre una conclusione, elaborare un giudizio, esplicitare chiaramente se questa ripartenza sia stata positiva o negativa; e chi meglio di me, che ho lavorato quest’estate con i ragazzi, che ho espresso i loro pensieri ai tavoli, chi meglio di me in teoria potrebbe dire se c’è soddisfazione oppure no. A me personalmente non piace giudicare. Certo, poteva essere fatto molto di più, però i mesi sono ancora tanti e il lavoro da fare sarà moltissimo; quindi propendo verso la scelta del lavoro silente e puntiglioso. Poi, un giorno, quando il mio mandato sarà scaduto, spero di poter giudicare nella massima serenità il lavoro svolto da me, da noi e dagli altri, nella speranza di aver rappresentato al meglio i miei studenti e di aver operato nella maniera più utile per tutelare il loro diritto allo studio.


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