Inizio scuola: keep calm e niente abbracci
Scritto da redazione il 22 Settembre 2020
La campanella ricomincia a suonare e segna l’avvio di un anno scolastico diverso dal passato. Dietro il silenzio che precede lo squillo dell’inizio della scuola, vi sono milioni e milioni di pensieri, tanta paura sulle pressanti incertezze che albergano in famiglie e docenti. Pur esprimendo tanta gioia di rivederci, tutti sappiamo che domani potremmo non rincontrarci. Tutto è condizionato dal virus. Gli ambienti scolastici sventrati da opere murarie (leggére), asettici, organizzati solo sul principio della sicurezza. Qualcuno ha cambiato anche classe. “ Dove siamo?” “Questa classe è più grande ma, maestra, poi torniamo nella nostra, vero?” “E’ per il nostro bene – ci dicono – ma questa non è la scuola che conosciamo, che viviamo”.
Al posto dei disegni dei bambini, dei cartelloni, degli strumenti didattici, le pareti sono tappezzate di moniti, avvertimenti, consigli e indicazioni, che ci ricordano che non dobbiamo toccarci, non dobbiamo abbracciarci. Via armadi, cattedre e arredi superflui, basta un semplice appoggio. I banchi da uniti, vengono “staccati” tra loro. E’ un distacco emotivo oltre che fisico. Vicini sì, ma non uniti. Sono queste esternazioni sono sempre più frequenti e fanno male a chi ha sempre considerato la scuola una seconda casa e cioè maestri e bambini.
Da protocollo, non si possono consolare fisicamente le paure e i bisogni degli alunni, ma possiamo parlare loro dietro la mascherina, un altro filtro, necessario lo sappiamo, tra loro e noi.. I docenti guardano negli occhi i loro bambini, l’unica parte del corpo che permette di intravedere nella loro anima. Sono fantastici i bambini: rispettano le più stringenti norme, pur di stare insieme, pur di condividere qualcosa, anche l’idea di una scuola del compromesso. A qualcuno più piccolino, cola il moccio e se lo asciuga per come sa, a qualcun altro gli si riempiono gli occhi di lacrime: non era così la scuola che immaginava. Altri dovranno farcela da soli se qualcosa non comprendono e non sono sicuri; quelle carezze quei “batti cinque” dovranno ancora attendere, ma non danno a vedere che tutto questo è maledettamente triste.
In una scuola non scuola, dove l’apprendimento è fortemente legato all’emotività, al benessere della persona, non vi sono molti appigli su cui fermarsi. Il diritto all’istruzione non è un diritto sterile, non è un protocollo da seguire, né una regola da applicare.
In una scuola non scuola però ci sono dei passaggi che fortunatamente rimangono autentici: la straordinaria convinzione dell’adulto che crede nelle potenzialità dello studente e che ricorda che insieme ce la si può fare. Le maestre sono lì, saranno lì fino al prossimo lockdown ad incoraggiare a non mollare, a diffondere la speranza che questo è solo un piccolo momento di disagio; presto tutto passerà e torneremo a stringerci di nuovo, ad asciugare muco e lacrime.
Le parole, l’unico strumento consentito, saranno i ganci a cui aggrapparci quando ci sentiremo soli seppur in classe. Saranno le parole di un bambino che richiama la maestra, distratta dal suo primo compito di accorrere in aiuto, a mettersi la mascherina quando si avvicina a lui; saranno le parole di una maestra che incoraggia il più debole a non perdersi d’animo.
Fino a quel momento guarderemo uno di quei cartelli e ci diremo a vicenda “Keep calm, ragazzi, e niente abbracci!”
Simona Mastroddi