Restituire la Scuola al suo Principio

Scritto da il 14 Giugno 2020

“Remoto” non è solo il tempo della distanza, è anche il passato scomparso in fondo alla memoria. L’origine è remota come il principio che regge l’esistente. Lo dimentichiamo, per ricercarlo nei momenti di sconvolgimento e di crisi generale. Ogni sconvolgimento sociale e catastrofe porta alle origini e ai principi traditi. Accade anche nell’anno di questa pandemia da una peste polmonare che ha costretto a tenersi chiusi nelle case e stare a distanza gli uni dagli altri, per evitare ogni contagio.

È strano come le parole delle affezioni siano le stesse delle infezioni. Le città sono rimaste vuote. Il “fuori” si è fatto vuoto. Le scuole chiuse, le attività produttive si sono fermate. Quasi per un “comando” senza voce, venuto all’improvviso e decretato dall’istituzione per tenere a riparo la vita sociale.

È strano che tutte le misure imposte e vissute hanno fatto “riscoprire” un senso perduto. L’istituzione si è fatta vicina alla società quando prima le divideva un baratro. Si sono sentiti affetti prima trascurati a confermare che le “cose vere” si sanno quando non si hanno. Così come il vero amore si sa riconoscere tale quando è perduto, così per l’amicizia vera, così per la libertà ed ogni altro valore. Si ha quello che si dà. Chi non dà non ha niente. Bisogna dare se stessi per essere veramente quello che si è. L’avere è il dare. Prima della pandemia l’avere era prendere e sottrarre, tenere la proprietà.

È accaduto anche per la sanità, per la salute, per gli ospedali, è accaduto per la scuola, scoprirne il valore di verità quando è rimasta chiusa. I medici sono stati in prima linea, anche gli insegnanti sono stati in prima linea con ore dedicate, “date” in rete, chiamate “a distanza”, a che spesso sono state personali, individuali. Si è “scoperta” la comunità. Si è “scoperta” l’intimità. L’una è l’altra. La comunità è l’intimità della società. E nessuno è intimo da solo se non condividendo quel mistero dell’essere che ci prende nei momenti in cui si allenta la presa dell’avere della proprietà. Nessuno è libero da solo, la libertà è fatta di legami. Il grado di libertà per ognuno si misura dalla qualità dei propri legami.

Anche per un paese il grado di libertà si misura dalla qualità dei propri legami sociali. Ed è questo che abbiamo “scoperto”, perché avevamo perduto l’origine e il principio del nostro starci accanto. Così, abbiamo cominciato a riflettere sulla nostra stessa memoria e a capire di ripensare a quel che è stato fin qui e a cercare di cambiare. Non si tratta però di cambiare, ma di ritrovare il Principio. Vale per la società, per la comunità, vale per la Scuola è il fondo da coltivare e sul quale attingere il futuro del presente.

Sono anni che la scure della spending review ha chiuso ospedali portando a carenze di posti, chiuso scuole di montagna e di periferie, abbandonando edifici come chiese sconsacrate, procedendo per accorpamenti da pollaio. Lo stesso che per le carceri diventate gabbie affollate. L’emergenza sanitaria richiede quello che si sarebbe dovuto rispettare e non smantellare. Così come la sanificazione e la manutenzione delle scuole, il personale qualificato e adeguato, i ruoli, i luoghi diversificati che si reclamano adesso, aspettavano già da prima di essere la normalità.

L’esercito sanitario di riserva da reclutare, così come l’esercito precario di riserva nelle scuole già aspettava, molti scegliendo di portare le proprie “competenze” nei centri di ricerca di altri paesi. È un vanto che i medici campani hanno mostrato il più alto grado di professionalità in mancanza di strutture, mentre altrove è stato il contrario. Nelle scuole d’eccezione singoli docenti e dirigenti hanno sostenuto la normalità con l’eccezionalità della propria vocazione. Siamo il Paese di don Milani, di Montessori, dei Maestri di Strada, di Scuole Aperte in Campania, di Medici senza Frontiere. Eccezioni, che hanno portato a eccellenze per modelli lasciati all’archivio, mentre avanzavano i tagli del sociale e l’incremento della burocrazia.

Adesso proviamo a cambiare, cioè tornare a quel che si è negato. Non si tratta di cambiare, ma di restituire la scuola al suo principio. È evidente l’urgenza di cambiare economia. Sanità Scuola Sicurezza “producono” comunità, reggono la società. La scuola ne è il principio.
Non è un edificio. In greco “skolé” indica il tempo interiore, libero da quello affaccendato e corrente, è il luogo dove si apprende il proprio tempo per il futuro del presente. La scuola non è un’industria, è però “industriosa”, che significa “operativa costantemente e ingegnosa”. Non si può parlare della scuola solo come presidio e chiamare a discutere gli “esperti” su episodi di violenza e di bullismo, cercando come in un cassetto in disordine, le colpe della società. Le scuole devono essere aperte.

All’evasione scolastica si risponde con l’invasione scolastica. La città deve farsi scuola. La scuola deve invadere la città. Adesso che si comprende l’esigenza di portare la scuola nei musei, nei giardini, non bisogna cadere nella logica degli eventi, perché i luoghi siano nella progettualità della programmazione didattica. Gli stessi edifici scolastici devono avere come normale la manutenzione straordinaria, la pulizia, la sanificazione non è il momento della disinfestazione.

Dispiace scriverlo, ma già il complesso universitario di Monte Sant’Angelo è sorprendentemente simile al carcere di Secondigliano. E tante scuole sono costruite nella logica della segregazione. È lo spazio e il tempo che questa peste ci sta chiedendo di ripensare. È lo spazio e il tempo, queste categorie lasciate ai filosofi sono quelle che i “concreti”, i “pratici”, i “politici” hanno ridotto a magazzini di merce e celle senza abitabilità.
Papini era certo libertario ed esagerato quando scriveva “Chiudiamo le scuole”, ma intendeva la cura della persona nella comunità sociale in cui vive e si opera. Le classi pollaio comportano che le ore della didattica si perdono per “tenere la classe”. Poi arrivano gli esperti, gli eventi, il docente che diventa facilitatore, la tecnologia ridotta a slide e a copia e incolla.

Adesso siamo alla DAD, che è uno strumento, c’era già prima ma non si usava. Può certo essere valida, come aula virtuale che usavo già negli anni ’90. Non può però essere sostitutiva. I docenti hanno lavorato tanto di più in questi giorni. Isolati e connessi. Ci sono stati momenti di contatto personale negati dai banchi. Il desiderio dell’aperto è l’apertura di sé. Come quando si dice a un ragazzo che “non si apre”, è chi ha cura di te che gli dice “apriti”, dimmi, parla. C’è bisogno della scuola che vive. E “Scuola Viva” è il progetto della Regione, che prima era “Scuole Aperte”, una scuola che invade la città e che va ripreso, per restituire la scuola al suo principio. Scuole Aperte Significa stabilire dei “patti di comunità”, per una programmazione scolastica integrata ai luoghi e ai saperi della città. Non eventi isolati. Resta ancora un’eccezione quello che riuscii a stabilire alla Gigante di Cavalleggeri, trasformando con l’aiuto di docenti e dirigente un’aula in un salotto, con tappeti, divani, tende alle finestre, leggio, in funzione didattica, e funziona ancora come tale, mentre con rammarico guardavo fuori quel giardino così bello lasciato all’incuria, con i ragazzi al chiuso. Solo una volta riuscimmo a stare tutti all’aperto, insieme, in un ascolto così intenso ed eravamo tantissimi con un’attenzione che è così difficile stando reclusi. La “distanza” di questi giorni ci ha avvicinato, ci ha fatto ritrovare una comunità interiore, che aspetta di uscire all’aperto, diventando sociale. Solo la Scuola lo può operare.

In questi mesi abbiamo compreso la differenza fra l’aperto e il fuori. Non è lo stesso. Il fuori sono gli altri, le case, le strade, la città, gli svaghi, i treni e tutto quanto può portare fuori, lontano da dove si è. L’aperto non è il fuori. È la natura. Il mondo è fuori. L’aperto è la vita. In questi mesi le città sono state “abitate dagli Dei”, vuote, sole, sono state avvolte dalla natura, il mare è ritornato ad essere mare, il cielo si è fatto di nuovo cielo. Bisognerà apprendere da tutto questo che il mondo non può essere senza vita, la scuola non può stare senza l’aperto.

In questi mesi sono i bambini e i più giovani che hanno “sofferto” il chiuso, perché per i bambini e i più giovani il fuori è l’aperto. Continuo perciò a ripensare a “scuola aperte”, perché la vita faccia scuola nella sua sacralità, nella sua fragilità, nell’averne cura e starci accanto, senza proprietà, dandosi sapere per una scuola dei legami. Non basta che si faccia scuola nei luoghi della città, è importante che la città si faccia scuola e che quell’edificio che ne diventa sede sia aperto, non chiuso, perché la città non sia il “fuori”, ma l’aperto, come il vero è l’aperto, come la libertà e il vero amore e la vera amicizia e la vera comunità parla ad ognuno dell’aperto.

Giuseppe Ferraro


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