Burnout il “Male Oscuro” degli insegnanti
Scritto da redazione il 14 Giugno 2020
Il termine burnout, apparso per la prima volta negli anni 30,’ veniva usato per indicare gli atleti cosiddetti bruciati, o fusi, incapaci di ritrovare, nell’impegno agonistico, la concentrazione e le motivazioni psicofisiche iniziali. Nel 1974, il dottor Herbert J. Freudenberger, psicologo Statunitense di origini tedesche, utilizzò il termine Burnout a livello diagnostico – scientifico, dopo aver notato lo stato di stress fisico e la stanchezza mentale del personale di una clinica psichiatrica di New York , fattori imputabili, secondo il dott. Freudenberger, al duro lavoro di assistenza al servizio di persone mentalmente disagiate.
Negli anni 80’ la dottoressa Christina Maslach della Università di Berkeley in California con il suo metodo Maslach Burnout Inuentory, approfondì la ricerca di tale disagio indagando tra le altre professioni di aiuto, servendosi di un test sviluppato nel 1981 in collaborazione con Susan Jackson. Il test comprendeva un questionario di 22 ITEM (molteplici affermazioni diverse, per interpretare lo stesso tema), ognuno con 6 gradi di risposta su scala Likert, sistema inventato dallo psicologo Rensis Likert, atto a valutare il livello di Burnout di un individuo.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, a maggio 2019 ha riconosciuto il Burnout come sindrome collegata al lavoro e alla disoccupazione e non più come una generica malattia da stress. Il mondo della scuola, con i suoi 22 suicidi e 4 tentati suicidi comunicò, nel 2017, il suo doloroso disagio “da burnout”alla Nazione. Un disagio interpretato, fino a quel momento, come gesto estremo dovuto alla depressione generica delle vittime. In seguito l’INPDAP di Milano, nell’elaborare i dati di una ricerca sulle professioni durata 10 anni, in collaborazione con la ASL, rilevò che tra i dipendenti pubblici la categoria più colpita dal Burnout era quella degli insegnanti, soprattutto le donne, con un’età media di 50 anni. Gli insegnanti saliti in cattedra quest’anno, secondo il M.I.U.R., sono 835.489, di questi 150.609 destinati al sostegno. Ogni giorno si confrontano, anche online, con più di otto milioni di studenti, 7.599.259 nella scuola statale e circa 870mila nelle paritarie. Con strumenti e risorse non sempre adeguate all’impegno e ai tempi “internauti” di oggi. L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha rilevato, prendendo in esame il rapporto “Education at a Glance 2019” che la spesa per l’istruzione, in Italia, è a un livello molto basso rispetto a gli altri Paesi dell’Unione, addirittura è diminuita del 9% tra il 2010 e il 2016, la stessa OCSE segnala che in cattedra il 59% dei docenti è ultracinquantenne, mentre gli insegnanti di età compresa tra i 25 e i 34 anni risultano, in proporzione, davvero pochi. Sempre in merito allo studio del BURNOUT tra gli insegnanti, una ventina di anni fa i ricercatori confrontarono i risultati raccolti nel 1991 tra Italia e Francia e nel 1988 tra Zelanda e Australia; analizzando i dati, in rapporto ai 4 sistemi scolastici dei Paesi monitorati, si evidenziò che il disagio Burnout nelle Istituzioni scolastiche avanzava e che andavano adottate strategie di prevenzione, da allora il Burnout degli insegnanti è un argomento inserito nei gruppi di studio psicoterapeutici internazionali.
In generale possiamo affermare che il Burnout anche se ricorre indiscriminatamente in moltissime categorie professionali colpisce, secondo alcune ricerche, gli insegnanti per oltre il 60%, per lo più donne. Le cause che sono alla base di questa sindrome possono derivare da diversi fattori tra cui:
a) Sentimento di frustrazione per la difficile realizzazione delle proprie aspettative educative
b) Affaticamento emotivo e fisico
c) La continua e veloce evoluzione scientifica e digitale (in particolare con l’avvento del coronavirus molti docenti si sono sentito catapultati in lezioni a distanza e rapporti virtuali improvvisi, senza esserne preparati e con la paura di non farcela)
d) Il mancato riconoscimento della professione: come la scarsa retribuzione e poca considerazione da parte dell’opinione pubblica
e) Il rapido trasformarsi della società verso uno stile di vita sempre più multietnico e multiculturale
f) Ritmi di lavoro stressanti
g) Ansia di madre-docente (si affianca all’ house-keeping e al baby-sitting. Non può che risultarne amplificato il cosiddetto work related stress (stress lavoro correlato).
Vivere una situazione del genere per un periodo prolungato può determinare in ambito lavorativo anche un aumento degli errori, una diminuzione della capacità valutativa e un maggiore esposizione ad acquisire patologie e malattie professionali. La professione finisce per assumere un’importanza smisurata nell’ambito della vita di relazione e l’individuo non riesce a “staccare” mentalmente tendendo a lasciarsi andare anche a reazioni emotive, impulsive e violente.
Non è un caso che da qualche tempo si propone di riconoscere l’insegnamento quale lavoro usurante e riconoscerlo come malattia professionale.
I sintomi possono manifestarsi attraverso numerosi atteggiamenti, tra i quali:
1) Sensazione di fallimento
2) Stanchezza – stress
3) Irritabilità
4) Senso di colpa
5) Rifiuto del lavoro
6) Difficili rapporti relazionali con i colleghi e gli studenti e spesso anche con la propria famiglia
7) Perdita di sentimenti positivi
8) Ansia e depressione
Cosa fare suggerimenti:
a) Sarebbe opportuno che l’istituzione si facesse carico d’interventi preventivi fornendo ai docenti un’adeguata preparazione psicologia e pedagogico – didattica utile per affrontare situazioni problematiche che si presentano nell’ambito della situazione di insegnamento/apprendimento.
b) Un modo per monitorare il grado di benessere potrebbe essere la creazione di uno “Sportello d’ascolto” per gli insegnanti, nonché l’avvio di gruppi di teacher’s training, con l’aiuto di psicologi, per confrontarsi sulle tematiche psicoeducative.
c) Rivolgersi a un professionista della salute o a un centro pubblico per avviare un supporto psicologico.
Gli insegnanti, infatti, nella relazione con allievi, dirigenti, genitori, colleghi, si trovano a dover far fronte, sempre di più, a situazioni difficili da gestire e il disagio relazionale che ne deriva sta coinvolgendo l’intera categoria professionale, con effetti collaterali per tutto il sistema educativo.
Psicologo e Psicoterapeuta
Come difendersi:
Diminuire la componente onirico – idealista rispetto al proprio lavoro, ridimensionando le proprie aspettative e riconducendole a un piano più attinente alla realtà
Evidenziare gli aspetti positivi del lavoro e non concentrarsi solo su quelli negativi
Coltivare interessi al di fuori dal lavoro per distrarsi e non focalizzare l’attenzione esclusivamente sui problemi professionali
Lavorare in compagnia di altre persone per non sentirsi soli e condividere lo stress.
Nella scuola di oggi gli insegnanti sono chiamati a impegnarsi con veemenza, soprattutto, dopo che l’emergenza Coronavirus ha acuito ancora di più nei docenti le situazioni di stress creando condizioni di maggiore rischio per l’equilibrio psicologico. E’ opportuno quindi che ciascuno con il proprio ruolo, coltivi e divulghi una cultura non ostile, che promuova il rivolgersi all’altro tenendo conto della sua sensibilità, del suo vissuto, affinché lo scambio relazionale avvenga nel terreno fertile dell’ascolto, che genera incontro e scambio funzionale per tutti.
Antonio Alfano (redazione mobile) – Luigi Polito ( professore di Scienze Umane, Psicologo e terapeuta