DaD: dal malessere scolastico al benessere dell’individualismo

La scuola è il tempo e il luogo “dello stare insieme”, delle relazioni: dalle merende condivise, agli sguardi complici, alla ricerca di tentativi maldestri per interrompere la lezione, alle finte uscite in bagno nel tentativo di incrociarsi nei corridoi. Uno spazio per mettersi in gioco, per sperimentarsi, confrontarsi, crescere nella relazione, negli incontri, negli sguardi.

Tale processo costruttivo del sé (identitario) per alcuni alunni si traduce in un percorso irto di difficoltà: dai mal di pancia ai mal di testa… in un’unica soluzione il “mal di scuola”.
Spesso comportamenti internalizzanti (atteggiamenti di chiusura e di isolamento) sono il linguaggio privilegiato di esperienze frustranti e malessere.
In tale situazione le variabili sociali e personali che entrano in campo – dalle peculiarità interpersonali a quelle intrapersonali – creano nello studente un tale bombardamento di emozioni, un disequilibrio emotivo, da richiedere tutte le energie psichiche ed affettive per (cercare di) affrontare tale conflitto emotivo a svantaggio di un apprendimento significativo.

Per questi alunni la DAD rappresenta una sorta di zattera per navigare e non perdersi nella tempesta emotiva: performance più soddisfacenti, realizzati in contesti in cui è possibile liberarsi di quel vissuto frustrante, prendono il posto degli insuccessi.

Una modalità di essere se stessi al (caro) prezzo di rinunciare alla socialità che permette all’alunno di traghettare dal malessere scolastico al benessere dell’individualismo.
In questa ottica la DAD è un palliativo transitorio (forse) a quella mancata inclusione – partecipazione sociale all’insegna della valorizzazione delle differenze – che la scuola, in alcuni casi, non è riuscita a costruire.

Lucia Imma Bocchetti

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